Per “piattismo” si intende un aumento della superficie di appoggio del piede accompagnato da un abbassamento della volta plantare ; in effetti il piede piatto è una deformità complessa e tridimensionale caratterizzata da una eccessiva pronazione del piede che comporta un abbassamento della parte interna , una deviazione verso l’esterno del calcagno (valgismo) e una deviazione all’infuori della parte anteriore del piede (abduzione). Nei primi anni di vita il piede è fisiologicamente piatto sia per la conformazione delle ossa del piede che per la relativa insufficienza muscolare. Con la crescita il piede acquisisce progressivamente la struttura che avrà nell’età adulta ; generalmente questo si verifica entro i 6-8 anni. Esistono tuttavia situazioni nelle quali il piede mantiene un anomalo piattismo (o meglio una anomala “pronazione”) verosimilmente per effetto di una condizione congenita e spesso a carattere familiare. Ovviamente possono esistere differenti stadi di gravità ; il criterio più importante non è tanto quello morfologico , basato sull’esame del piede in posizione statica , quanto un criterio funzionale basato essenzialmente sulla persistenza di una anomala pronazione nella fase propulsiva del passo , momento nel quale nel piede normale interviene una fisiologica supinazione che irrigidisce il piede e lo rende adatto ad una funzione di spinta.
Nella maggior parte dei casi il piede piatto dell’età evolutiva non determina sintomatologia dolorosa importante; solo in alcuni casi il piccolo paziente lamenta dolorabilità alla parte interna del piede o alla pianta. L’esame obiettivo è caratterizzato da un abbassamento della volta mediale del piede, da un valgismo del calcagno e da deviazione all’esterno della parte anteriore del piede con una conseguente frequente deambulazione “a punte in fuori“. La valutazione viene effettuata sul lettino da visita, in posizione eretta statica e nella deambulazione dove viene valutata, ai fini prognostici, la persistenza di pronazione nella fase propulsiva del passo.
La diagnosi è basata in primo luogo sulla visita del paziente e sull’esame fisico del piede in carico, sul podoscopio, sul lettino e in dinamica (esame della deambulazione). Deve essere testato il funzionamento dei vari muscoli che controllano il piede e la mobilità articolare in particolare relativamente alla possibilità di correzione attiva e passiva della deformità. Relativamente agli esami strumentali sono fondamentali le radiografie dei piedi eseguite sotto carico; frequentemente lo studio radiografico è esteso all’intero arto inferiore. La RMN e la TC sono utilizzate solo in casi selezionati, in particolare per escludere presenza di sinostosi o altre anomalie congenite
Non esiste un trattamento accettato unanimemente per il trattamento conservativo del piede piatto. Salvo casi particolari nei primi anni di vita non vengono presi particolari provvedimenti che rischierebbero di interferire con il normale sviluppo del piede. Dopo i 6 anni di età si può considerare il trattamento con plantari anche se non esistono sicure prove sulla reale efficacia correttiva dei plantari; probabilmente quelli con maggiore efficacia sono i plantari avvolgenti al tallone che mantengono la posizione di correzione del calcagno riducendo il valgismo. Importante è anche il trattamento chinesiterapico di mobilizzazione articolare, allungamento muscolare in particolare del tricipite, rinforzo di specifici gruppi muscolari.
La persistenza di una pronazione eccessiva o anomala, in particolare nella fase propulsiva del passo a lungo andare può condurre a deterioramento delle articolazioni distali in particolare alla mediotarsica e alle articolazioni tarsometatarsali con insorgenza di tendinopatie e artropatie. Se non adeguatamente trattata la deformità può peggiorare dal punto di vista morfologico; inoltre le articolazioni tendono ad irrigidirsi fissando la deformità; in questi casi si accentuano disturbi legati al cattivo appoggio, in particolare a carico delle strutture mediali del piede.
L’indicazione chirurgica viene posta in genere dopo gli 8-10 anni in presenza di piedi pronati che non dimostrano miglioramento , che tendono ad aggravarsi , che presentano alterazioni funzionali importanti o che presentano sintomatologia dolorosa persistente ; in particolare rappresenta una indicazione specifica il persistere della pronazione nella fase propulsiva del passo o la presenza di un valgismo importante del retropiede (oltre i 20°) presente in fase statica.
In questi casi l’intervento di elezione è la correzione con endortesi ; l’intervento consiste nell’inserimento nel piede di un dispositivo simile ad una vite che ha lo scopo di limitare l’eccessiva pronazione e di mantenere il calcagno in una posizione verticale conservando i normali movimenti articolari. L’intervento da i migliori risoltati quando il piede è ancora in crescita in modo che le ossa e le strutture molli si adattino alla nuova situazione. Esistono differenti tipi di endortesi , endo ed esosenotarsiche, in materiali metallici o riassorbibili ; normalmente utilizziamo una endortesi metallica esostenotarsica in titanio avvitata al processo anteriore del calcagno. Oltre al posizionamento dell’endortesi può essere necessario aggiungere l’allungamento chirurgico del tendine di Achille o dell’aponeurosi dei gemelli che viene effettuato con piccole incisioni posteriori o la ritensione dei legamenti della parte interna del piede. Tempi chirurgici scheletrici vengono eseguiti raramente in età infantile. Normalmente si consiglia la rimozione dell’endortesi dopo 2-3 anni dall’intervento.
La scelta della tecnica anestesiologica più idonea è compito del Collega anestesista. In generale vengono utilizzate a seconda delle situazioni
In alcuni casi viene associata una sedazione farmacologica.
Il post-operatorio dipende dai gesti chirurgici effettuati. Se l’intervento è limitato al posizionamento dell’endortesi non viene effettuata immobilizzazione di sorta ed il paziente può deambulare quasi subito aiutandosi con stampelle; se vengono associati anche gli altri tempi chirurgici viene confezionato un gambaletto senza carico mantenuto per 4 settimane. Il trattamento fisioterapico e di rieducazione funzionale non è obbligatorio e di regola effettuato nei casi in cui è stata mantenuta una immobilizzazione.
Ciascun gesto chirurgico, anche banale, non è mai privo di rischi; anche se vengono messe in atto di abitudine tutte le precauzioni possibili per minimizzare il rischio chirurgico questo non potrà mai essere azzerato. Occorre pertanto nella decisione chirurgica, anche da parte del Paziente, valutare le possibili conseguenze negative dell’intervento a fronte dei miglioramenti attesi (“bilancio rischi-benefici). Conseguenze negative possono essere rappresentate da incompleta risoluzione del problema che ha condotto all’intervento, alla ricomparsa o al peggioramento dei disturbi, al sopravvenire di problemi diversi, spesso imprevedibili e gravi. Tali reazioni avverse possono essere dovute a complicanze dell’intervento ma talvolta ad eventi imprevisti ed imprevedibili dovuti a condizioni locali o problemi di salute generale; ad esempio l’assunzione di alcuni tipi di farmaci, malattie sistemiche come il diabete o problemi reumatologici, alterazioni circolatorie, il fumo o l’assunzione di droghe, la scarsa collaborazione sono tutte situazioni che comportano un aumento del tasso di complicanze. Le complicanze possono essere distinte in generiche e specifiche; ovviamente non è possibile elencare tutte le possibili complicanze anche perché alcune di esse incidono in maniera del tutto eccezionale. Complicanze aspecifiche sono le infezioni o le complicanze vascolari queste ultime piuttosto rare nell’età evolutiva. Tra le complicanze specifiche, cioè proprie di ciascuna tipologia di intervento, quella più frequente è una più o meno importante intolleranza all’endortesi che si verifica in circa il 5% dei casi e che comporta sintomatologia dolorosa nella sede dell’impianto, a volte modesta e saltuaria, a volte più importante con possibile contrattura antalgica e limitazione dell’articolarità in pronosupinazione; in alcuni casi il dolore si riduce progressivamente con il tempo, altre volte è preferibile anticipare la rimozione dell’endortesi. Ovviamente nella qualità del risultato è molto importante la situazione iniziale; i casi più gravi ed i casi in età pià avanzata (oltre i 15 anni) sono gravati da un maggior tasso di complicanze. In sintesi le principali complicanze possono essere così riassunte
Va sottolineato come il tasso di complicanze sia statisticamente più elevato nei reinterventi e che in questi casi , in considerazione della situazione di partenza il risultato finale può non portare al risultato sperato ed in ogni caso è meno prevedibile. Fattori di rischio che comportano aumento delle complicanze sono deformità importanti e scarsa collaborazione nel protocollo post-operatorio,…