Per “piattismo” si intende comunemente un aumento della superficie di appoggio del piede accompagnato da un abbassamento della volta plantare ; in effetti il piede piatto è una deformità complessa caratterizzata da una eccessiva pronazione del piede che comporta un abbassamento della parte interna , una deviazione verso l’esterno del calcagno (valgismo) e una deviazione all’infuori della parte anteriore del piede (abduzione).
Nell’ambito del piede piatto esiste molta variabilità ; si va da forme lievi , che non rivestono carattere patologico o che possono comportare disturbi minimi , a forme molto gravi che compromettono pesantemente la funzionalità e l’efficienza della marcia.
Non sempre un piede piatto provoca nell’età adulta disturbi od alterazioni funzionali. E’ esperienza comune che molte persone portatrici di piattismo possano trascorrere l’intera esistenza senza lamentare dolore o limitazioni nelle comuni attività. Esistono tuttavia molti casi in cui il piede piatto diventa prima o poi sintomatico. Le cause di questa differente evolutività è verosimilmente da ricercare non solo nell’aspetto morfologico ma soprattutto nella differente funzionalità ; infatti molti piedi piatti mantengono una buona funzionalità muscolare e la capacità di correggere l’eccesso di pronazione in fase propulsiva.
Nella maggior parte dei casi è la perdita di efficienza muscolare , in particolare per quanto riguarda il tibiale posteriore , che determina lo scompenso ed il progressivo peggioramento ; venendo meno il sostegno muscolare l’effetto stesso del carico deforma progressivamente il piede peggiorandone il piattismo.
Si verifica pertanto un sovraccarico delle strutture mediali del piede in particolare relativamente a legamenti e tendini ; queste strutture possono con in tempo perdere la loro tensione e progressivamente usurarsi ; nelle fasi più avanzate la cattiva distrubuzione del carico provoca usura delle articolazioni con comparsa di artrosi.
In molti casi si tratta di forme di piede piatto dell’età evolutiva non trattati o insufficientemente trattati che evolvono e peggiorano nell’età adulta ; come detto in precedenza la causa del peggioramento è un progressivo cedimento delle strutture tendinee mediali , in particolare del tibiale posteriore , o dei legamenti mediali. In questi casi la causa può essere
La diagnosi è basata in primo luogo sulla visita del paziente e sull’esame fisico del piede in carico , sul podoscopio , sul lettino e in dinamica (esame della deambulazione). Deve essere testato il funzionamento dei vari muscoli che controllano il piede , la mobilità articolare e la possibilità di ridurre la deformità. Relativamente agli esami strumentali sono fondamentali le radiografie dei piedi eseguite sotto carico ; frequentemente lo studio radiografico è esteso all’intero arto inferiore. In alcuni casi è indispensabile la RMN del tarso per valutare le condizioni del tendine tibiale posteriore e delle articolazioni tarsali , mentre in altri casi è indicata la TC per studiare la componente ossea.
La diagnosi è basata in primo luogo sulla visita del paziente e sull’esame fisico del piede in carico , sul podoscopio , sul lettino e in dinamica (esame della deambulazione). Deve essere testato il funzionamento dei vari muscoli che controllano il piede ed effettuato un esame neurologico settoriale (valutazione della forza , sensibilità , riflessi ,ecc…) ; in casi particolari può essere utile una consulenza neurologica. Relativamente agli esami strumentali sono fondamentali le radiografie dei piedi eseguite sotto carico ; frequentemente lo studio radiografico è esteso all’intero arto inferiore. Nelle forme neurologiche può essere indicata l’esecuzione di accertamenti elettrofisiologici (elettromiografia) o indagini genetiche. La RMN e la TC sono utilizzate solo in casi selezionati.
Normalmente il trattamento è indicato solo nei casi sintomatici per dolore, disturbi funzionali o rapido peggioramento. Farmaci antiinfiammatori o antalgici sono utilizzabili a scopo sintomatico per controllare il dolore. Fondamentale è l’impiego di ortesi plantari specifiche costruite su misura, che hanno lo scopo di migliorare l’appoggio, correggere difetti di allineamento del retropiede e di distribuire il carico in maniera più uniforme. Importante è anche il trattamento chinesiterapico di mobilizzazione articolare, allungamento muscolare, rinforzo di specifici gruppi muscolari.
Se non adeguatamente trattata la deformità può peggiorare dal punto di vista morfologico in particolare in caso di cedimento del tendine tibiale posteriore; inoltre le articolazioni tendono ad irrigidirsi fissando la deformità; in questi casi si accentuano disturbi legati al cattivo appoggio, in particolare metatarsalgie e borsiti, e disturbi con uso di calzature del commercio.
Il trattamento chirurgico si rende necessario in caso di sintomatologia dolorosa , di disturbi funzionali importanti , in caso di peggioramento della deformità ed in caso di fallimento del trattamento conservativo. L’intervento non è consigliabile per pure finalità estetiche o in casi asintomatici.
Esistono numerosi gesti chirurgici che possono essere utilizzati singolarmente o in combinazione a seconda della situazione clinica e della sintomatologia. In generale vengono utilizzati , variamente associati , tempi chirurgici sulle parti molli e tempi chirurgici osteoarticolari ; questi ultimi possono essere extraarticolari , cioè con correzione della deformità al di fuori delle articolazioni e mantenendo pertanto il normale movimento articolare , o all’opposto correggere la deformità a livello articolare con il bloccaggio chirurgico di una o più articolazioni (artrodesi) ; quest’ultima tipologia di intervento viene utilizzata nei casi più gravi o in caso di compromissione articolare. Tra i tempi chirurgici osteoarticolari quelli più frequentemente utilizzati sono
In questi casi vengono utilizzati dei mezzi di sintesi (viti , placche , fili di Kirschner,..) per stabilizzare i segmenti ossei Tra gli interventi sulle parti molli quelli più diffusi sono
La scelta della tecnica anestesiologica più idonea è compito del Collega anestesista. In generale vengono utilizzate a seconda delle situazioni
In alcuni casi viene associata una sedazione farmacologica.
Il post-operatorio dipende dai gesti chirurgici effettuati. In caso di tempi scheletrici viene mantenuta una doccia o tutore a gambaletto per 6/8 settimane senza carico ; in caso di interventi artroscopici è invece frequentemente consentito un carico parziale Normalmente è richiesto un trattamento fisioterapico e di rieducazione funzionale.
Ciascun gesto chirurgico , anche banale , non è mai privo di rischi ; anche se vengono messe in atto di abitudine tutte le precauzioni possibili per minimizzare il rischio chirurgico questo non potrà mai essere azzerato. Occorre pertanto nella decisione chirurgica , anche da parte del Paziente , valutare le possibili conseguenze negative dell’intervento a fronte dei miglioramenti attesi (“bilancio rischi-benefici). Conseguenze negative possono essere rappresentate da incompleta risoluzione del problema che ha condotto all’intervento , alla ricomparsa o al peggioramento dei disturbi , al sopravvenire di problemi diversi , spesso imprevedibili e gravi. Tali reazioni avverse possono essere dovute a complicanze dell’intervento ma talvolta ad eventi imprevisti ed imprevedibili dovuti a condizioni locali o problemi di salute generale ; ad esempio l’assunzione di alcuni tipi di farmaci , malattie sistemiche come il diabete o problemi reumatologici , alterazioni circolatorie , il fumo o l’assunzione di droghe , la scarsa collaborazione sono tutte situazioni che comportano un aumento del tasso di complicanze. Le complicanze possono essere distinte in generiche e specifiche ; ovviamente non è possibile elencare tutte le possibili complicanze anche perché alcune di esse incidono in maniera del tutto eccezionale. Complicanze aspecifiche sono le infezioni o le complicanze vascolari in particolare a carico della rete venosa ; si tratta comunque di complicanze piuttosto rare che vengono controllate con una opportuna profilassi farmacologia ed igienica. Le complicanze specifiche , cioè proprie di ciascuna tipologia di intervento , possono essere costituite da disturbi di guarigione dell’osso (insufficiente consolidazione ossea) , correzione insufficiente o eccessiva , mobilizzazione dei mezzi di sintesi con perdita di correzione Un problema piuttosto frequente è rappresentato dalla persistenza di gonfiore del piede nelle settimane successive all’intervento ; si tratta di una situazione temporanea causata da difetti circolatori (insufficienza venosa o linfatica , varici , … ) che in genere tende progressivamente a risolversi con la ripresa di una deambulazione regolare. Ovviamente nella qualità del risultato è molto importante la situazione iniziale ; risultati migliori si ottengono in casi di caviglie ben allineate con una anatomia conservata (assenza di deformità , di perdita di sostanza ossea , di deviazioni assiali importanti). In sintesi le principali complicanze possono essere così riassunte
Va sottolineato come il tasso di complicanze sia statisticamente più elevato nei reinterventi e che in questi casi, in considerazione della situazione di partenza il risultato finale può non portare al risultato sperato ed in ogni caso è meno prevedibile. Fattori di rischio che comportano aumento delle complicanze sono malattie sistemiche, in particolare il diabete, vasculopatie periferiche arteriose e/o venose, uso di farmaci immunosopressori o cortisonici, fumo, presenza di artrosi, deformità importanti, sovrappeso ,scarsa collaborazione nel protocollo post-operatorio,…