Lassità cronica di caviglia

Definizione

Si definisce lassità di una articolazione una eccessiva mobilità dell’articolazione stessa causata da una insufficiente tenuta dei legamenti che sono le strutture che passivamente mantengono ravvicinati due segmenti ossei adiacenti. Questa condizione può essere costituzionale , per eccessiva elasticità congenita dei legamenti , o essere secondaria ad una cattiva guarigione di una lesione legamentosa ; nel primo caso la condizione interessa tutte le articolazioni dell’organismo , anche se spesso in modo differente , mentre nel secondo caso è sempre secondaria ad uno o più traumi. Non raramente le due condizioni sono associate cioè si possono verificare con maggiore facilità traumi distorsivi su una condizione di lassità congenita.

CAUSE

Si stima che dal 10% al 30% delle lesioni legamentose laterali di caviglia di una certa gravità possa andare incontro ad una lassità cronica ; questa è sempre secondaria ad una combinazione di insufficienza meccanica , cioè incompetenza legamentosa per cicatrizzazione in allungamento , e di insufficienza funzionale , cioè difetto di controllo neuromuscolare per insufficienza muscolare , per alterazione primitivamente neurologica o per difetto del controllo propriocettivo. Il trauma distorsivo in inversione (non trattato , non correttamente trattato o anche trattato in maniera ottimale) è pertanto la causa prima della lassità cronica. Due condizioni possono inoltre condizionare in maniera importante lo sviluppo di lassità cronica e cioè una concomitante lassità legamentosa costituzionale e la presenza di retropiede varo (cioè deviato all’interno) , primitivo o secondario a equinismo di I° metatarsale.

Clinica

La sintomatologia è tipicamente rappresentata da frequenti e ripetuti episodi di instabilità che si traducono in difficoltà o apprensione alla marcia o alla corsa su terreni irregolari o ai cambi di direzione con frequenti episodi distorsivi di variabile entità ; nello sportivo questa condizione comporta riduzione del livello di prestazione e frequenti periodi di stop. Il dolore non è un sintomo tipico e predominante e spesso lo si riscontra solo subito dopo l’episodio distorsivo. La presenza di dolore cronico deve far pensare a presenza di patologia associata come lesioni tendinee (l’evenienza più frequente è una lesione longitudinale del tendine del peroneo breve) o lesioni osteocondrali. All’esame obiettivo è costante una eccessiva mobilità della caviglia; tests specifici sono la manovra in varo equino ed il cassetto anteriore ; in genere queste manovre non risultano dolorose perché ormai i legamenti hanno perso la normale tensione.

Diagnosi

La diagnosi è basata in primo luogo sulla visita del paziente e sull’esame fisico del piede in carico , sul podoscopio , sul lettino e in dinamica (esame della deambulazione). In particolare sono fondamentali i tests dinamici del cassetto anteriore e dello stress in varismo. Deve essere testato il funzionamento dei vari muscoli che controllano il piede ed effettuato un esame neurologico settoriale (valutazione della forza , sensibilità , riflessi ,ecc…). Relativamente agli esami strumentali sono fondamentali le radiografie delle caviglie eseguite sotto carico ; frequentemente lo studio radiografico è esteso all’intero arto inferiore. La RMN viene utilizzata per confermare la presenza di lesione legamentosa (peraltro non sempre assolutamente dirimente trattandosi di un esame statico) e soprattutto per escludere possibili concomitanti lesioni osteocartilaginee o tendinee

Trattamenti non chirurgici

Il trattamento conservativo è basato sulla rieducazione funzionale in particolare programma di rinforzo muscolare e recupero della forza e del trofismo e successivamente una rieducazione finalizzata a migliorare il controllo attivo della caviglia (rieducazione propriocettiva). Il trattamento dovrebbe essere condotto per un periodo congruo (3-6 mesi) In caso di varismo di retropiede è utile l’impiego di ortesi plantari specifiche costruite su misura , che hanno lo scopo di migliorare l’appoggio e compensare difetti di allineamento.

Rischi e complicanze in assenza di trattamento

Se non adeguatamente trattata la lassità può tendere ad aggravarsi con progressiva elongazione dei legamenti. L’evoluzione a distanza della lassità cronica laterale comporta in un’alta percentuale di casi (circa 78% dei casi) una evoluzione artrosica che si manifesta con un varismo articolare , usura della cartilagine prevalente sul versante mediale , frequente presenza di corpi mobili articolari o paraarticolari.

Motivazione dell’intervento

Il trattamento chirurgico si rende necessario in caso di fallimento del trattamento conservativo.
I motivi principali per il trattamento chirurgico sono

  • l’instabilità soggettiva e l’insicurezza alla marcia su terreni irregolari
  • la frequenza degli episodi distorsivi.

Tecniche chirurgiche

Il trattamento chirurgico va ovviamente considerato in caso di sintomatologia importante e dopo un adeguato periodo di trattamento conservativo; sono ipotizzabili due tipologie di interventi:

  • le ricostruzioni con tenodesi non anatomiche
  • le riparazioni o le ricostruzioni (tenodesi) anatomiche

Le tenodesi non anatomiche prevedono una ricostruzione legamentosa che utilizza tendini di vicinanza (più frequentemente l’intero o l’emiperoneo breve) , o più raramente tessuti autologhi come il plantare gracile , il palmare gracile , la fascia lata o tendini di banca. In ogni caso l’inserzione e il decorso dei neolegamenti non avvengono nelle sedi anatomiche : questo comporta in generale un’ottima stabilità meccanica ma a prezzo di una alterazione della cinematica articolare con frequente rigidità post-chirurgica e possibile evoluzione artrosica in particolare a carico dell’articolazione astragalo-calcaneale. Per questi motivi attualmente queste metodiche vengono utilizzate raramente. I risultati di queste metodiche (tecniche tipo Watson-Jones , Evans o Chrisman-Snook) comportano circa il 90% di risultati eccellenti o buoni nei primi 10 anni di follow-up ; tali punteggi tuttavia si abbassano drasticamente nel decennio successivo (da 33% a 76% di eccellenti o buoni).

Gli interventi di riparazione anatomica comportano la riparazione delle strutture legamentose utilizzando i residui delle medesime ; in pratica i residui legamentosi possono venire recentati e suturati o riparati tramite plicatura , ritensionamento o reinserzione . Le metodiche derivano dalla tecnica descritta da Bromstrom che consiste in una riparazione intralegamentosa successivamente modificata da Gould con rinforzo con il retinacolo inferiore degli estensori. Numerosi studi hanno evidenziato risultati eccellenti o buoni in oltre l’85% dei casi ; anche la longevità della procedura è ben documentata. Risultati mediocri si riscontrano in caso di instabilità di lunga data con tessuti di scarsa qualità , in caso di precedenti interventi di riparazione ed in caso di lassità legamentosa costituzionale o morfotipo varo.

Le tenodesi anatomiche consistono nella ricostruzione legamentosa con punti di inserzione e decorso dei neolegamenti quanto più vicini all’anatomia normale ; a tale scopo possono essere utilizzati tendini di vicinanza (emi- peroneo breve o lungo) , autotrapianti (in genere gracile o semitendinoso ma sono descritte tecniche con uso di plantare gracile , palmare gracile , fascia lata , porzione del tendine di Achille,..) o tendini conservati. Ciascuna di queste tecniche presenta potenziali ed ovvi svantaggi ; in particolare l’uso di parte dei peronieri indebolisce degli importanti stabilizzatori attivi mentre gli autotrapianti presentano problemi al sito donatore ed i tendini conservati problemi di integrazione e di costi. Indicazioni elettive per questa tipologia di interventi sono la prevedibile inconsistenza dei tessuti , i reinterventi in caso di recidiva , la lassità legamentosa costituzionale e soggetti di grande stazza o dediti ad attività lavorative o sportive di grande impatto.

Anestesia

La scelta della tecnica anestesiologica più idonea è compito del Collega anestesista. In generale vengono utilizzate a seconda delle situazioni

  • anestesie tronculari (es. blocco popliteo o blocco alla caviglia) che assicurano una completa analgesia durante l’intervento ed una ottima copertura del dolore post-operatorio
  • anestesia spinale selettiva
  • anestesia generale

In alcuni casi viene associata una sedazione farmacologica.

Post-operatorio

Il post-operatorio dipende dai gesti chirurgici effettuati. In caso di tempi scheletrici viene mantenuta una doccia o tutore a gambaletto per 6/8 settimane senza carico ; in caso di interventi artroscopici è invece frequentemente consentito un carico parziale Normalmente è richiesto un trattamento fisioterapico e di rieducazione funzionale.

Complicanze

Ciascun gesto chirurgico , anche banale , non è mai privo di rischi ; anche se vengono messe in atto di abitudine tutte le precauzioni possibili per minimizzare il rischio chirurgico questo non potrà mai essere azzerato. Occorre pertanto nella decisione chirurgica , anche da parte del Paziente , valutare le possibili conseguenze negative dell’intervento a fronte dei miglioramenti attesi (“bilancio rischi-benefici). Conseguenze negative possono essere rappresentate da incompleta risoluzione del problema che ha condotto all’intervento , alla ricomparsa o al peggioramento dei disturbi , al sopravvenire di problemi diversi , spesso imprevedibili e gravi. Tali reazioni avverse possono essere dovute a complicanze dell’intervento ma talvolta ad eventi imprevisti ed imprevedibili dovuti a condizioni locali o problemi di salute generale ; ad esempio l’assunzione di alcuni tipi di farmaci , malattie sistemiche come il diabete o problemi reumatologici , alterazioni circolatorie , il fumo o l’assunzione di droghe , la scarsa collaborazione sono tutte situazioni che comportano un aumento del tasso di complicanze. Le complicanze possono essere distinte in generiche e specifiche ; ovviamente non è possibile elencare tutte le possibili complicanze anche perché alcune di esse incidono in maniera del tutto eccezionale. Complicanze aspecifiche sono le infezioni o le complicanze vascolari in particolare a carico della rete venosa ; si tratta comunque di complicanze piuttosto rare che vengono controllate con una opportuna profilassi farmacologia ed igienica. Le complicanze specifiche , cioè proprie di ciascuna tipologia di intervento , possono essere costituite da disturbi di guarigione dell’osso (insufficiente consolidazione ossea) , correzione insufficiente o eccessiva , mobilizzazione dei mezzi di sintesi con perdita di correzione Un problema piuttosto frequente è rappresentato dalla persistenza di gonfiore del piede nelle settimane successive all’intervento ; si tratta di una situazione temporanea causata da difetti circolatori (insufficienza venosa o linfatica , varici , … ) che in genere tende progressivamente a risolversi con la ripresa di una deambulazione regolare. Ovviamente nella qualità del risultato è molto importante la situazione iniziale ; risultati migliori si ottengono in casi di caviglie ben allineate con una anatomia conservata (assenza di deformità , di perdita di sostanza ossea , di deviazioni assiali importanti). In sintesi le principali complicanze possono essere così riassunte

Complicanze generiche
  • infezioni circa 2% dei casi; come prevenzione viene effettata una profilassi antibiotica preoperatoria
  • tromboflebiti circa 5% dei casi; al fine di ridurre il rischio viene effettuata una profilassi con eparina abasso peso molecolare o altri farmaci che andrà protratta fino a normalizzazione del carico
  • Ritardo di guarigione delle ferite chirurgiche
  • Edema residuo; normalmente un edema più o meno importante può risultare presente nei primi sei mesi e talvolta protrarsi anche successivamente e in rari casi non risolversi completamente
  • Algodistrofia o m. di Sudek
  • Complicanze relative all’anestesia
  • Complicanze di ordine generale
Complicanze specifiche
  • mancata guarigione della riparazione legamentosa con residua instabilità (in circa il 5-10% dei casi)
  • rigidità o limitazione del movimento articolare
  • intrappolamento o sezione di tronchi nervosi con secondaria sintomatologia anestesica o parestesica
  • dolore residuo
  • disturbi nel sito donatore in caso di prelievo tendineo

Va sottolineato come il tasso di complicanze sia statisticamente più elevato nei reinterventi e che in questi casi , in considerazione della situazione di partenza il risultato finale può non portare al risultato sperato ed in ogni caso è meno prevedibile. Fattori di rischio che comportano aumento delle complicanze sono malattie sistemiche , in particolare il diabete , vasculopatie periferiche arteriose e/o venose , uso di farmaci immunosopressori o cortisonici , fumo , presenza di artrosi , deformità importanti , sovrappeso ,scarsa collaborazione nel protocollo post-operatorio,…