Le protesi sono dispositivi artificiali che sostituiscono un organo o parte di esso ; nel caso delle protesi articolari si tratta di dispositivi che sostituiscono in maniera totale o parziale una articolazione. Le protesi di caviglia utilizzate attualmente sono tutte a tre componenti con due parti metalliche a contatto rispettivamente della tibia e dell’astragalo ed una componente in polietilene interposta ; a seconda dei disegni protesici il polietilene può essere fissato alla componente tibiale e pertanto consentire solo movimenti di flessoestensione sulla componente astragalica (“protesi a menisco fisso”) oppure essere svincolato dalla componente tibiale e pertanto consentire anche movimenti rotatori sul piano trasverso (“protesi a menisco mobile”). Le protesi a menisco mobile comportano minori sollecitazioni sull’intefaccia osso/impianto ed una maggiore possibilità di movimento ; per contro sono maggiori le sollecitazioni su legamenti e tendini periarticolari , maggiore l’usura del polietilene , più frequenti gli impingement malleolari ed un minor controllo della posizione sul piano sagittale. Non esistono tuttavia ad oggi dati certi sulla possibile superiorità tra le diverse tipologie protesiche a menisco fisso o mobile. Tutte le protesi attuali hanno sistemi di fissazione primaria all’osso che rendono superfluo l’uso della cementazione ed un disegno che comporta stabilità reciproca delle componenti.
Le indicazioni sono rappresentate da forme gravi ed avanzate di artrosi , primaria o post-traumatica , artriti infiammatorie (in particolare artrite reumatoide) e altre forme più rare (artropatie secondarie ad emocromatosi , emofilia , gotta ,…) tutte situazioni che comportano una importante compromissione delle superfici articolari con associata sintomatologia dolorosa e limitazione funzionale (compromissione del movimento articolare , difficoltà alla stazione eretta ed alla deambulazione , limitazione dell’autonomia di marcia). Ovviamente la sostituzione protesica è riservata a casi di avanzata compromissione articolare che non rispondono più alle terapie conservative (trattamenti farmacologici , controllo del peso , chinesiterapia , ortesi plantari , infiltrazioni articolari) o a trattamenti chirurgici minori (pulizia articolare , cheilectomia , osteotomie correttive,…)
Di norma l’intervento viene eseguito in anestesia spinale selettiva con aggiunta di un blocco popliteo per ridurre il dolore post-operatorio ; la scelta del tipo di anestesia è comunque di competenza del Collega Anestesista sulla scorta di parametri clinici specifici.
Normalmente l’intervento viene eseguito con un accesso anteriore di circa 10-15 cm ; vengono resecate le superfici articolari della tibia distale e dell’astragalo ed impiantate le componenti protesiche. Nella maggior parte dei casi attualmente vengono utilizzate guide di taglio personalizzate costruite sulla scorta di una TC tridimensionale. In alcuni casi è necessario realizzare gesti chirurgici associati come riparazioni legamentose , osteotomie correttive tibiali o calcaneali , allungamenti tendinei , ecc.. che possono richiedere incisioni aggiuntive e modificare i tempi di recupero. Mediamente l’intervento ha una durata di 2 ore. In casi particolari viene utilizzato un accesso laterale con osteotomia del perone (in questo caso è necessaria una sintesi del perone con placca e viti)
Normalmente il Paziente viene dimesso in II^ giornata con una doccia posteriore che viene mantenuta 2-3 settimane sino a completa cicatrizzazione della ferita chirurgica; in generale viene effetuata una medicazione dopo una settimana ed una seconda alle 3 settimane ; successivamente viene posizionato un tutore tipo Walker con il quale è concesso un carico protetto e che può essere rimosso per la fisioterapia quotidiana , in particolare mobilizzazione articolare e rinforzo muscolare ; alle 8 settimane dall’intervento viene eseguita una radiografia di controllo , rimosso il tutore ed iniziato il carico a tolleranza ; ovviamente la fisioterapia viene protratta fino ad un recupero funzionale adeguato. Una volta stabilizzato il risultato post-operatorio viene consigliata una normale attività fisica evitando carichi eccessivi ed attività sportive di impatto come corsa e salti ; non ci sono particolari limitazioni per la deambulazione evitando ovviamente gli eccessi. Relativamente all’attività sportiva sono concesse attività in relativo scarico come nuoto , sci e bicicletta. Come in tutti gli impianti protesici è necessaria una sorveglianza periodica con visite e radiografie di controllo.
Alternativo all’impianto protesico è l’intervento di artrodesi cioè il bloccaggio chirurgico dell’articolazione. Tale intervento, pur essendo una valida alternativa , determina sovraccarico sulle articolazioni vicine che a lungo andare possono deteriorarsi , comporta una inevitabile alterazione della marcia e non è scevro da complicanze ( fino al 10% di reinterventi per mancata fusione).
Obiettivo principale dell’intervento è la riduzione o l’eliminazione del dolore ; da questo punto di vista i risultati sono buoni anche se spesso nei primi 6/12 mesi può essere presente sintomatologia dolorosa residua. Il secondo obiettivo è il recupero della mobilità articolare ed il conseguente miglioramento della marcia ; anche in questo caso si ha spesso un miglioramento significativo ma specie nei casi di artrosi che durano da molto tempo o nei casi di rigidità importante il recupero può essere solo parziale ; ovviamente da questo punto di vista è fondamentale anche il trattamento fisioterapico nel post-operatorio.
La durata delle protesi di caviglia è minore rispetto a quelle di ginocchio o di anca per le maggiori sollecitazioni meccaniche e per le ridotte dimensioni dell’impianto. Si stima che la sopravvivenza degli impianti attualmente maggiormente utilizzati sia del 90% a 10 anni e di circa 70-80% a 20 anni.
Ciascun gesto chirurgico , anche banale , non è mai privo di rischi ; anche se vengono messe in atto di abitudine tutte le precauzioni possibili per minimizzare il rischio chirurgico questo non potrà mai essere azzerato. Occorre pertanto nella decisione chirurgica , anche da parte del Paziente , valutare le possibili conseguenze negative dell’intervento a fronte dei miglioramenti attesi (“bilancio rischi-benefici). Conseguenze negative possono essere rappresentate da incompleta risoluzione del problema che ha condotto all’intervento , alla ricomparsa o al peggioramento dei disturbi , al sopravvenire di problemi diversi , spesso imprevedibili e gravi. Tali reazioni avverse possono essere dovute a complicanze dell’intervento ma talvolta ad eventi imprevisti ed imprevedibili dovuti a condizioni locali o problemi di salute generale ; ad esempio l’assunzione di alcuni tipi di farmaci , malattie sistemiche come il diabete o problemi reumatologici , alterazioni circolatorie , il fumo o l’assunzione di droghe , la scarsa collaborazione sono tutte situazioni che comportano un aumento del tasso di complicanze. Le complicanze possono essere distinte in generiche e specifiche ; ovviamente non è possibile elencare tutte le possibili complicanze anche perché alcune di esse incidono in maniera del tutto eccezionale. Il tasso di complicanze nella protesi di caviglia è più alto di quanto si riscontra nell’anca o nel ginocchio , circa 2-3 volte maggiore ed incidono complessivamente fino al 20% dei casi. Distinguiamo le complicanze in complicanze minori , che non richiedono la rimozione dell’impianto , e complicanze maggiori , che invece richiedono la rimozione della protesi o di parte delle componenti. Tra le prime citiamo i problemi di cicatrizzazione cutanea , le fratture intraoperatorie , gli impingement delle docce malleolari. Tra le seconde la più temibile è l’infezione profonda che incide per circa il 4% dei casi in particolare per la relativa superficialità dell’articolazione e per la frequenza di soggetti con artropatie infiammatorie , spesso in terapia con steroidi o immunosopressori , o post-traumatiche. Sono considerati fattori di rischio per infezione periprotesica precedenti interventi chirurgici , precarie condizioni cutanee , deiescenza della ferita chirurgica , terapia cortisonica , durata dell’intervento (quindi i casi più complessi) , il fumo ed il diabete. La mobilizzazione asettica ed il possibile affondamento delle componenti rappresenta un’altra complicanza che richiede la rimozione della protesi. Le cause che portano a questo fallimento sono numerose e spesso concomitanti ; le principali sono la scarsa qualità ossea , sollecitazioni anomale delle componenti protesiche , la formazione di cisti periprotesiche o di osteolisi , la migrazione delle componenti , la vascolarizzazione dell’astragalo ed eventuali necrosi ossee ; spesso è in gioco anche lo specifico disegno protesico.