Osteotomia di dislocazione mediale di tuberosità posteriore calcagno

Definizione di osteotomia

Si intende per osteotomia la sezione chirurgica di un determinato segmento osseo (in questo caso il calcagno) ; viene utilizzato per modificarne la forma e/o l’orientamento. Si tratta pertanto di una sorta di frattura “artificiale” che viene fatta guarire in una posizione differente dall’originale ; nella maggior parte dei casi per favorire la consolidazione e per evitare spostamenti indesiderati , i segmenti ossei vengono fissati con mezzi di sintesi (fili di Kirschner , viti , placche .ecc).
L’osteotomia può essere eseguita

  • Con un taglio lineare , su un solo piano o su due piani convergenti ; in questo caso la correzione viene ottenuta facendo scivolare tra loro i due segmenti
  • Asportando un cuneo osseo e pertanto modificando l’angolazione del segmento interessato ; in questo caso si parla più correttamente di osteotomia di sottrazione
  • Con un taglio lineare ed inserendo nello spazio un cuneo osseo (innesto) ; in questo caso si definisce osteotomia in addizione

Essendo un intervento extraarticolare non va in teoria a compromettere il movimento delle articolazioni vicine. Nel caso specifico l’osteotomia viene utilizzata per correggere un eccessivo valgismo , cioè una eccessiva deviazione all’esterno, del calcagno e/o del retropiede e prevede un taglio lineare con scivolamento della tuberosità posteriore del calcagno verso l’interno.

Indicazione all'intervento

L’intervento viene utilizzato in caso di valgismo di retropiede , cioè una deviazione all’esterno del retropiede ; la situazione più frequente è in associazione a piede piatto o comunque in situazioni di piede pronato. Perché l’osteotomia abbia un buon risultato è importante che le articolazioni adiacenti siano indenni da alterazioni artrosiche e con buona mobilità. Il razionale dell’intervento è quello di spostare all’interno l’appoggio posteriore del piede , allineandolo all’asse della tibia , e di dislocare medialmente l’inserzione del tendine di Achille potenziando l’azione di inversione del tricipite surale.

Possibilità di procedure alternative

Non esistono sicure dimostrazioni sull’efficacia di correzioni non chirurgiche.
L’impiego di tutori notturni non è efficace nell’adulto, in quanto le maggiori forze deformanti si sviluppano durante la deambulazione, mentre nel bambino, dove l’osso è più plastico, sembra che possano avere una qualche utilità.
I presidi da usare durante la deambulazione (separadito o ortesi analoghe) hanno più un effetto sintomatico nell’evitare conflitti con la calzatura o con le dita vicine che un reale effetto correttivo.
Una azione nel rallentare l’evoluzione della deformità è sicuramente svolta da plantari di compenso in caso di importante pronazione del piede; talvolta questi presidi dovrebbero essere utilizzati anche dopo un eventuale intervento per ridurre i rischi di recidiva in piedi predisposti.

Tecnica chirurgica

Il Paziente viene posizionato in decubito laterale. Si esegue un accesso laterale di circa 3 cm posteriormente al nervo surale ed ai tendini peronieri ; esposta la parete laterale del calcagno si esegue una osteotomia obliqua a 45° su un unico piano ; completata l’osteotomia si disloca manualmente la tuberosità posteriore in senso mediale di regola di 10-15 mm ; la stabilizzazione viene effettuata con fili di Kirschner , viti o placche dedicate.
In generale l’osteotomia viene raramente eseguita isolatamente ma più spesso in associazione con altri tempi chirurgici sull’osso o sulle parti molli.

Anestesia

La scelta della tecnica anestesiologica più idonea è compito del Collega anestesista. In generale viene preferenziata una anestesia spinale selettiva associata ad una anestesia tronculare (es. blocco popliteo o blocco alla caviglia) per migliorare la copertura del dolore post-operatorio. In alcuni casi viene associata una sedazione farmacologica.

Post-operatorio

La consolidazione dell’osteotomia avviene in media in un periodo di circa 5-6 settimane ; durante questo periodo non è concesso il carico ; normalmente , specie se vengono eseguiti altri tempi chirurgici associati , viene mantenuto un apparecchio gessato a doccia posteriore o un tutore. Successivamente si effettua un carico progressivo e graduale mantenendo gli appoggi per 2-3 settimane ; è consigliabile un opportuno trattamento riabilitativo finalizzato al recupero muscolare , al miglioramento del movimento articolare, alla rieducazione alla marcia ed al controllo dell’edema. In generale un recupero soddisfacente è prevedibile nell’arco di 6 mesi.

Complicanze

Anche se normalmente l’intervento comporta buoni risultati sulla sintomatologia soggettiva , sull’assetto del piede e sull’appoggio e sulla funzionalità globale sono tuttavia possibili alcune complicanze Ciascun gesto chirurgico , anche banale , non è mai privo di rischi ; anche se vengono messe in atto di abitudine tutte le precauzioni possibili per minimizzare il rischio chirurgico questo non potrà mai essere azzerato. Occorre pertanto nella decisione chirurgica , anche da parte del Paziente , valutare le possibili conseguenze negative dell’intervento a fronte dei miglioramenti attesi (“bilancio rischi-benefici”). Conseguenze negative possono essere rappresentate da incompleta risoluzione del problema che ha condotto all’intervento , alla ricomparsa o al peggioramento dei disturbi , al sopravvenire di problemi diversi , spesso imprevedibili e gravi. Tali reazioni avverse possono essere dovute a complicanze dell’intervento ma talvolta ad eventi imprevisti ed imprevedibili dovuti a condizioni locali o problemi di salute generale ; ad esempio l’assunzione di alcuni tipi di farmaci , malattie sistemiche come il diabete o problemi reumatologici , alterazioni circolatorie , il fumo o l’assunzione di droghe , la scarsa collaborazione sono tutte situazioni che comportano un aumento del tasso di complicanze. Le complicanze possono essere distinte in generiche e specifiche ; ovviamente non è possibile elencare tutte le possibili complicanze anche perché alcune di esse incidono in maniera del tutto eccezionale.

In sintesi le principali complicanze possono essere così riassunte:

Complicanze generiche
  • Infezioni circa 2% dei casi; come prevenzione viene effettuata una profilassi antibiotica preoperatoria
  • Tromboflebiti circa 5% dei casi; al fine di ridurre il rischio viene effettuata una profilassi con eparina a basso peso molecolare o altri farmaci che andrà protratta fino a normalizzazione del carico
  • Ritardo di guarigione delle ferite chirurgiche
  • Edema residuo; normalmente un edema più o meno importante può risultare presente nei primi sei mesi e talvolta protrarsi anche successivamente e in rari casi non risolversi completamente
  • Algodistrofia o m. di Sudek
  • Complicanze relative all’anestesia
  • Complicanze di ordine generale
Complicanze specifiche
  • mancata fusione dell’osteotomia in circa 5 % dei casi specie in soggetti fumatori , vasculopatici , diabetici , ecc.
  • intrappolamento o sezione di tronchi nervosi con secondaria sintomatologia anestesica o parestesica
  • malallineamento cioè deviazione all’interno o all’esterno del tallone
  • rigidità a carico delle articolazioni adiacenti in particolare tibiotarsica o delle articolazioni del meso-avampiede
  • rottura dei mezzi di sintesi

Va sottolineato come il tasso di complicanze sia statisticamente più elevato nei reinterventi e che in questi casi , in considerazione della situazione di partenza il risultato finale può non portare al risultato sperato ed in ogni caso è meno prevedibile. Fattori di rischio che comportano aumento delle complicanze sono malattie sistemiche , in particolare il diabete , vasculopatie periferiche arteriose e/o venose , uso di farmaci immunosopressori o cortisonici , fumo , presenza di artrosi , deformità importanti , scarsa collaborazione nel protocollo post-operatorio,…