Si intende per osteotomia la sezione chirurgica di un determinato segmento osseo (in questo caso il calcagno) ; viene utilizzato per modificarne la forma e/o l’orientamento.
Si tratta pertanto di una sorta di frattura “artificiale” che viene fatta guarire in una posizione differente dall’originale ; nella maggior parte dei casi per favorire la consolidazione e per evitare spostamenti indesiderati , i segmenti ossei vengono fissati con mezzi di sintesi (fili di Kirschner , viti , placche .ecc).
L’osteotomia può essere eseguita
Essendo un intervento extraarticolare non va in teoria a compromettere il movimento delle articolazioni vicine. Nel caso specifico l’osteotomia viene utilizzata per correggere un eccessivo valgismo , cioè una eccessiva deviazione all’esterno, del calcagno e/o del retropiede e prevede un taglio lineare con scivolamento della tuberosità posteriore del calcagno verso l’interno.
L’intervento viene utilizzato in caso di valgismo di retropiede , cioè una deviazione all’esterno del retropiede ; la situazione più frequente è in associazione a piede piatto o comunque in situazioni di piede pronato. Perché l’osteotomia abbia un buon risultato è importante che le articolazioni adiacenti siano indenni da alterazioni artrosiche e con buona mobilità. Il razionale dell’intervento è quello di spostare all’interno l’appoggio posteriore del piede , allineandolo all’asse della tibia , e di dislocare medialmente l’inserzione del tendine di Achille potenziando l’azione di inversione del tricipite surale.
Non esistono sicure dimostrazioni sull’efficacia di correzioni non chirurgiche.
L’impiego di tutori notturni non è efficace nell’adulto, in quanto le maggiori forze deformanti si sviluppano durante la deambulazione, mentre nel bambino, dove l’osso è più plastico, sembra che possano avere una qualche utilità.
I presidi da usare durante la deambulazione (separadito o ortesi analoghe) hanno più un effetto sintomatico nell’evitare conflitti con la calzatura o con le dita vicine che un reale effetto correttivo.
Una azione nel rallentare l’evoluzione della deformità è sicuramente svolta da plantari di compenso in caso di importante pronazione del piede; talvolta questi presidi dovrebbero essere utilizzati anche dopo un eventuale intervento per ridurre i rischi di recidiva in piedi predisposti.
Il Paziente viene posizionato in decubito laterale. Si esegue un accesso laterale di circa 3 cm posteriormente al nervo surale ed ai tendini peronieri ; esposta la parete laterale del calcagno si esegue una osteotomia obliqua a 45° su un unico piano ; completata l’osteotomia si disloca manualmente la tuberosità posteriore in senso mediale di regola di 10-15 mm ; la stabilizzazione viene effettuata con fili di Kirschner , viti o placche dedicate.
In generale l’osteotomia viene raramente eseguita isolatamente ma più spesso in associazione con altri tempi chirurgici sull’osso o sulle parti molli.
La scelta della tecnica anestesiologica più idonea è compito del Collega anestesista. In generale viene preferenziata una anestesia spinale selettiva associata ad una anestesia tronculare (es. blocco popliteo o blocco alla caviglia) per migliorare la copertura del dolore post-operatorio. In alcuni casi viene associata una sedazione farmacologica.
La consolidazione dell’osteotomia avviene in media in un periodo di circa 5-6 settimane ; durante questo periodo non è concesso il carico ; normalmente , specie se vengono eseguiti altri tempi chirurgici associati , viene mantenuto un apparecchio gessato a doccia posteriore o un tutore. Successivamente si effettua un carico progressivo e graduale mantenendo gli appoggi per 2-3 settimane ; è consigliabile un opportuno trattamento riabilitativo finalizzato al recupero muscolare , al miglioramento del movimento articolare, alla rieducazione alla marcia ed al controllo dell’edema. In generale un recupero soddisfacente è prevedibile nell’arco di 6 mesi.
Anche se normalmente l’intervento comporta buoni risultati sulla sintomatologia soggettiva , sull’assetto del piede e sull’appoggio e sulla funzionalità globale sono tuttavia possibili alcune complicanze Ciascun gesto chirurgico , anche banale , non è mai privo di rischi ; anche se vengono messe in atto di abitudine tutte le precauzioni possibili per minimizzare il rischio chirurgico questo non potrà mai essere azzerato. Occorre pertanto nella decisione chirurgica , anche da parte del Paziente , valutare le possibili conseguenze negative dell’intervento a fronte dei miglioramenti attesi (“bilancio rischi-benefici”). Conseguenze negative possono essere rappresentate da incompleta risoluzione del problema che ha condotto all’intervento , alla ricomparsa o al peggioramento dei disturbi , al sopravvenire di problemi diversi , spesso imprevedibili e gravi. Tali reazioni avverse possono essere dovute a complicanze dell’intervento ma talvolta ad eventi imprevisti ed imprevedibili dovuti a condizioni locali o problemi di salute generale ; ad esempio l’assunzione di alcuni tipi di farmaci , malattie sistemiche come il diabete o problemi reumatologici , alterazioni circolatorie , il fumo o l’assunzione di droghe , la scarsa collaborazione sono tutte situazioni che comportano un aumento del tasso di complicanze. Le complicanze possono essere distinte in generiche e specifiche ; ovviamente non è possibile elencare tutte le possibili complicanze anche perché alcune di esse incidono in maniera del tutto eccezionale.
Va sottolineato come il tasso di complicanze sia statisticamente più elevato nei reinterventi e che in questi casi , in considerazione della situazione di partenza il risultato finale può non portare al risultato sperato ed in ogni caso è meno prevedibile. Fattori di rischio che comportano aumento delle complicanze sono malattie sistemiche , in particolare il diabete , vasculopatie periferiche arteriose e/o venose , uso di farmaci immunosopressori o cortisonici , fumo , presenza di artrosi , deformità importanti , scarsa collaborazione nel protocollo post-operatorio,…