Il piede piatto è una alterazione statica che comporta deformità sui tre piani dello spazio (valgismo di retropiede, abduzione e varismo dell’avampiede, abbassamento della volta plantare, …).
Esistono differenti gradi di gravità; in una prima fase la deformità è elastica e ben correggibile, mentre con il passare del tempo possono intervenire rigidità e limitazione dell’articolarità in particolare nei movimenti di pronosupinazione (cioè movimenti di lateralità), peggioramento della deformità ed alterazioni funzionali.
In alcuni casi la deformità è stabile nel tempo e ben controllabile con terapie conservative ma spesso va incontro ad una progressione di peggioramento con accentuazione della deformità e dei disturbi.
L’intervento di artrodesi consiste nel bloccaggio chirurgico di una o più articolazioni; nel caso specifico l’articolazione tra astragalo, calcagno e scafoide.
A seguito dell’intervento vengono pertanto persi alcuni movimenti del piede, in questo caso il movimento di pronosupinazione che peraltro risulta già molto compromesso prima dell’intervento.
L’intervento si rende necessario in caso di importanti alterazioni strutturali in pronazione del piede che comportano dolore, limitazione del movimento articolare, alterazioni funzionali in particolare riduzione dell’autonomia di marcia e difficoltà alla stazione eretta; in questi casi non esistono alternative chirurgiche all’intervento di artrodesi in quanto per questa articolazione non sono applicabili protesi o altri dispositivi per ripristinare le condizioni di normale appoggio.
In un primo tempo il trattamento può essere conservativo (plantari o tutori, farmaci antiinfiammatori, fisioterapia, infiltrazioni, …).
Si prende in considerazione l’intervento quando questi trattamenti non modificano i disturbi del Paziente o in caso di rapido aggravamento delle condizioni cliniche.
L’intervento consiste nella asportazione delle residue cartilagini articolari, nella correzione della deformità recuperando in particolare il corretto asse del retropiede e nella fissazione dell’articolazione con viti o fili di Steinmann; in alcuni casi è necessario inserire innesti ossei prelevati dalla cresta iliaca o dalla tibia prossimale.
In generale si utilizza un doppio accesso, mediale e laterale.
Frequentemente è necessario ricorrere a tempi chirurgici accessori:
La scelta della tecnica anestesiologica più idonea è compito del Collega anestesista.
In generale viene preferenziata una anestesia spinale selettiva associata ad una anestesia tronculare (es. blocco popliteo o blocco alla caviglia) per migliorare la copertura del dolore post-operatorio.
In alcuni casi viene associata una sedazione farmacologica.
La consolidazione dell’artrodesi avviene in media in un periodo di circa due mesi; durante questo periodo non è concesso il carico; normalmente per le prime 4-6 settimane viene mantenuto un apparecchio gessato a doccia posteriore o un tutore.
Successivamente si effettua un carico progressivo e graduale mantenendo gli appoggi per circa 20-30 giorni; è consigliabile un opportuno trattamento riabilitativo finalizzato al recupero muscolare, al miglioramento del movimento della caviglia (flessoestensione), alla rieducazione alla marcia ed al controllo dell’edema.
In generale un recupero soddisfacente è prevedibile nell’arco di 6 mesi.
Ciascun gesto chirurgico, anche banale, non è mai privo di rischi; anche se vengono messe in atto di abitudine tutte le precauzioni possibili per minimizzare il rischio chirurgico, questo non potrà mai essere azzerato.
Occorre pertanto nella decisione chirurgica, anche da parte del Paziente, valutare le possibili conseguenze negative dell’intervento a fronte dei miglioramenti attesi (“bilancio rischi-benefici”).
Le complicanze possono essere distinte in generiche e specifiche; normalmente l’intervento comporta buoni risultati sul dolore articolare, sull’assetto del piede e sull’appoggio e sulla ripresa funzionale anche se raramente il recupero funzionale è completo.
Va sottolineato come il tasso di complicanze sia statisticamente più elevato nei reinterventi e che in questi casi, in considerazione della situazione di partenza, il risultato finale può non portare al risultato sperato ed è meno prevedibile.
Fattori di rischio che comportano aumento delle complicanze sono malattie sistemiche, in particolare il diabete, vasculopatie periferiche arteriose e/o venose, uso di farmaci immunosoppressori o cortisonici, fumo, presenza di artrosi, deformità importanti, scarsa collaborazione nel protocollo post-operatorio, ecc.