LE METATARSALGIE : la terapia

Autore: Dott. L. Milano

 

DEFINIZIONE

 

Dal punto di vista strettamente etimologico il termine metatarsalgia indica una sintomatologia dolorosa localizzata al “metatarso”, intendendo le strutture ossee comprese tra le articolazioni cuneo-metatarsee e cuboido-metatarsee prossimamente e metatarso-falangee distalmente. Convenzionalmente tuttavia il termine fa riferimento ad un dolore localizzato in corrispondenza di una o più teste metatarsali in sede plantare; più recentemente il concetto è stato allargato alle articolazioni metatarso-falangee, la cui biomeccanica è strettamente correlata alle ossa metatarsali ed il cui coinvolgimento è pressoché costante in presenza di patologia in questo distretto anatomico.

La definizione di “metatarsalgia” data al 26° Congresso Nazionale della SIMCP del maggio 2000 è stata la seguente: dolore acuto o cronico in corrispondenza di una o più articolazioni metatarso-falangee provocato dalla compromissione, su base meccanica e non, delle strutture anatomiche che interagiscono con l’articolazione (osso, cartilagine, capsula e legamenti, vasi, nervi, tendini, borse, sottocute e cute).

Dal punto di vista classificativi vengono distinti tre grossi capitoli: le metatarsalgie da malattie sistemiche o extradistrettuali (vascolari, metaboliche, reumatiche, neurologiche, psichiche), le metatarsalgie da malattie distrettuali (della cute e del sottocute, delle borse e dei tendini, dei nervi, osteoarticolari e neoplastiche) ed infine le metatarsalgie a patogenesi biomeccanica, legate ad una alterata distribuzione, in termini quantitativi, qualitativi o cronologici, del carico sull’avampiede. Faremo per semplicità riferimento a quest’ultimo gruppo che rappresenta peraltro le situazioni con le quali più frequentemente ci si deve confrontare dal punto di vista clinico.

L’alterazione del carico può essere rappresentata da un eccesso quantitativo di carico inteso come aumento della forza per unità di superficie, da un incremento del tempo durante il quale le strutture sono sottoposte al carico o ad una combinazione dei due fattori.

L’incremento del carico, indipendentemente dalla causa che lo ha provocato, comporta un aumento delle sollecitazioni sulle diverse strutture e, a lungo andare, la comparsa di alterazioni strutturali che interessano i diversi tessuti (cute, sottocute, tendini, tessuti osteoarticolari, ecc…) e di sintomatologia dolorosa, quest’ultima di regola correlata alla funzione statica e/o deambulatoria.

Anche se è ovvio che la definizione di carico alterato presupponga la preliminare definizione di carico fisiologico, quest’ultima risulta tuttavia ancora oggi estremamente difficoltosa in rapporto alla enorme quantità di variabili legate alla struttura anatomica ed alla biomeccanica osteoarticolare e muscolotendinea che intervengono nella statica ed ancor di più durante la deambulazione, la corsa, il salto od altre attività della vita quotidiana.

 

CLASSIFICAZIONE

 

Un corretto programma terapeutico non può prescindere da un corretto inquadramento patogenetico della metatarsalgia che prevede a sua volta una valutazione accurata e completa del paziente.

Molto raramente l’origine della metatarsalgia è unifattoriale; più spesso sono presenti diversi elementi che sommandosi ed embricandosi in misura diversa compongono il quadro clinico.

Per semplicità e schematismo tuttavia le metatarsalgie biomeccaniche possono essere inquadrate dal punto di vista patogenetico nel modo seguente:

a) da patologia sovrasegmentaria

b) da patologia del retropiede

c) da patologia intrinseca ai metatarsali

d) da patologia delle dita.

A - Metatarsalgie da patologia sovrasegmentaria

Rientrano in questo gruppo le metatarsalgie che si osservano in caso di contrattura in flessione di anca, retrazioni o spasticità del tricipite, brevità dell’arto; in queste situazioni si assiste in generale alla comparsa di un equinismo più o meno strutturato che comporta un eccesso di sollecitazioni all’avampiede per effetto di un carico più precoce e prolungato.

In un arto relativamente più lungo per contro compare spesso una pronazione compensatoria con conseguenze relative all’avampiede.

Anche in caso di ginocchio varo o valgo si osservano spesso compensi rispettivamente in pronazione e supinazione; se questi compensi non vengono messi in atto il ginocchio varo può comportare un sovraccarico laterale e relativa metatarsalgia esterna mentre all’opposto il ginocchio valgo può portare ad una metatarsalgia I^.

B – Metatarsalgie da patologia del retropiede

La situazione più comune nella clinica è rappresentata dalle sindromi pronatorie, caratterizzate da una pronazione anomala della sottoastragalica ( presenza di un eccesso di pronazione nella fase di contatto e di appoggio plantigrado o presenza di pronazione quando, durante la fase propulsiva, la sottoastragalica dovrebbe invece supinare).

La situazione più negativa si verifica quando la pronazione della sottoastragalica permane o addirittura si accentua durante la fase di propulsione del passo, quando è solo l’avampiede ad essere in appoggio.

In questo caso si modifica il vettore di trazione del peroneo lungo sul primo metatarsale che non viene flesso plantarmente e, non opponendo resistenza alle forze di reazione dal terreno si dorsiflette; questa situazione conduce nel tempo ad una situazione di ipermobilità di M1, comparsa di patologia della prima metatarso-falangea (in particolare alluce valgo) e sovraccarico dei metatarsali centrali, in particolare M2 e M3, che pur diventando ipermobili raggiungono più facilmente il fondo corsa in dorsiflessione per la maggiore stabilità intrinseca.

L’ipermobilità metatarsale innesca inevitabilmente una instabilità digitale in quanto nessun segmento può essere efficacemente stabilizzato se non lo sono le strutture scheletriche prossimali; le articolazioni metatarso-falangee diventano instabili fino alla lussazione.

L’instabilità digitale comporta un tentativo di compenso costituito da una maggiore attivazione da parte dei flessori delle dita; questo comporta la rottura dell’equilibrio tra muscolatura intrinseca ed estrinseca che a sua volta induce una posizione prevalente in flessione dorsale della metatarso-falangea che aumenta ulteriormente il carico sulla testa metatarsale.

Anche le sindromi supinatorie, condizioni nelle quali la sottoastragalica è prevalentemente o costantemente in condizione di supinazione (piede cavo strutturato, rigidità post-traumatiche, esiti malformativi, …) inducono molto facilmente una metatarsalgia esterna (M5 o M4-M5); in fase propulsiva lo stacco avviene spesso esclusivamente su M5.

Un’altra situazione esemplificativa è il piede cavo, caratterizzato per definizione da un disassetto in plantarflessione dell’avampiede sul retropiede; la plantarflessione dell’avampiede, che ha come apice generalmente la mediotarsica o l’innominata, può risultare simmetrica o più spesso asimmetrica per prevalenza della plantarflessione sul M1 (piede cavo interno).

Nel primo caso (plantarflessione simmetrica dell’avampiede o piede cavo diretto) sarà tutto l’avampiede a prendere contatto più precocemente ed a sopportare più a lungo il carico.

Nel piede cavo interno sarà invece la testa di M1 a prendere contatto con il piano di appoggio; questo induce una supinazione relativa ed il conseguente appoggio del bordo laterale del piede. In questi casi si sviluppa molto facilmente una metatarsalgia di M1 e di M5 con caratteristiche ipercheratosi.

C – Metatarsalgie da patologia intrinseca ai metatarsali

Possono essere dovute a:

- anomalie di lunghezza di singoli metatarsali in genere secondarie a patologie congenite o acquisite (in genere post-traumatiche o esiti chirurgici); in questo caso saranno sovraccaricati i metatarsali relativamente più lunghi;

- anomalie di orientamento nel piano sagittale (le cause più frequenti sono le post-traumatiche); ovviamente i metatarsali più plantarflessi saranno maggiormente sottoposti al carico;

- anomalie di mobilità prossimali alla articolazione tarso-metatarsale; delle situazioni di ipermobilità si è già detto parlando delle sindromi pronatorie; le rigidità articolari, che comportando una difficoltà al disimpegno in carico inducono distalmente un sovraccarico, sono per lo più secondarie a patologia traumatica o infiammatori.

D – Metatarsalgie da patologia delle dita

Tutte le anomalie delle dita che comportino atteggiamento in eccessiva flessione dorsale delle metatarso-falangee qualsiasi sia la causa possono determinare la comparsa di metatarsalgia per effetto di plantarflessione sul metatarsale (effetto “windlass”) o per depressione meccanica della testa metatarsale.

Anche una flessione plantare o una limitazione della flessione dorsale dell’alluce (come si verifica ad esempio nell’alluce rigido) può causare, per la supinazione che viene indotta durante la fase propulsiva, la comparsa di una metatarsalgia esterna, in genere localizzata in M5.

Un altro aspetto piuttosto frequente nella genesi delle metatarsalgie da patologia digitale è rappresentato dalle forme secondarie ad insufficienza funzionale delle dita stesse o dalla loro perdita anatomica; le dita infatti durante l’inizio della fase propulsiva svolgono un effetto di leva scaricando i metatarsali.

 

 

TRATTAMENTO

Da quanto esposto risulta chiaramente come la metatarsalgia sia in effetti un sintomo cui possono concorrere situazioni piuttosto diverse e raramente isolate.

Un corretto approccio diagnostico è pertanto cruciale nella impostazione del trattamento.

La valutazione clinica deve includere un esame completo del paziente al fine di escludere patologie sistemiche o alterazioni sovrasegmentarie; in particolare vanno considerati gli assetti funzionali di anca e ginocchio, la metria degli arti, l’eventuale presenza di situazioni di equinismo strutturale o funzionale.

Relativamente all’esame del piede è importante la valutazione dei rapporti retro-avampodalici considerando la posizione neutra della sottoastragalica per rilevare eventuale presenza di avampiede varo o valgo.

Vanno inoltre accuratamente ricercate le aree di origine del dolore per individuare l’eventuale coinvolgimento di strutture nervose, tendinee, bursali, ecc.; infine la distribuzione delle alterazioni cutanee generalmente ben evidenti in situazioni di alterato carico da informazioni importanti sulle zone sottoposte a maggiori sollecitazioni.

Gli accertamenti strumentali devono comprendere radiografie in carico in diverse proiezioni (laterale, dorso-plantare, frontale) che sono in genere sufficienti da sole a confermare la presenza di alterazioni strutturali possibile causa di metatarsalgia; accertamenti di secondo livello come scintigrafia, RMN o TC, possono trovare indicazione in casi di origine incerta del dolore come nel sospetto di una frattura da fatica, di una patologia tumorale o infiammatoria.

Analisi funzionali come la baropodometria o l’esame della marcia, anche se di difficile applicazione pratica, possono fornire indicazioni relative alla patogenesi, rivelare situazioni subcliniche suscettibili di prevenzione e documentare presenza di aree di sovraccarico metatarsale in presenza di sintomatologia conclamata.

Tornando al trattamento quest’ultimo dovrebbe essere in primo luogo proporzionato all’entità dei disturbi soggettivi non dimenticando che in alcune situazioni una semplice riduzione dell’eccesso ponderale o delle sollecitazioni, ad esempio sportive, possono migliorare drasticamente la situazione.

Una seconda considerazione è che raramente la metatarsalgia riconosce un’unica causa; più frequentemente è la somma di piccole anomalie strutturali o funzionali associate magari ad alte richieste funzionali che innesca la sintomatologia; in questi casi può essere sufficiente agire su alcuni di questi fattori causali per ottenere un risultato soddisfacente.

Ad eccezione di situazioni particolari il primo trattamento in presenza di metatarsalgia è di regola conservativo e si basa su due presupposti. Il primo è di agire sulla causa o sulle cause che hanno provocato la sintomatologia metatarsalgica; ad esempio un programma intenso di stretching in caso di brevità del tendine di Achille o l’impiego di ortesi per il controllo di una pronazione anomala. Il secondo punto è rappresentato dal trattamento sintomatico delle alterazioni causate dal sovraccarico; in questo senso trovano applicazione diverse soluzioni ortesiche volte a distribuire in maniera uniforme i carichi sulla regione plantare e a ridurre l’eccesso di sollecitazioni in aree critiche oltre ad eventuali trattamenti medici o fisici per ridurre la flogosi locale.

Il trattamento ortesico ha trovato recentemente notevoli sviluppi per l’applicazione di criteri costruttivi, come ad esempio il rilievo di calchi in posizione neutra di sottoastragalica, e per l’impiego di materiali particolari, a volte associati, con caratteristiche diverse di elasticità, assorbimento degli urti e delle vibrazioni, robustezza, ecc.

Il trattamento chirurgico viene normalmente preso in considerazione dopo fallimento di un trattamento conservativo correttamente condotto per un congruo periodo di tempo.

L’indicazione ad uno specifico gesto chirurgico è evidentemente guidata da un corretto inquadramento eziopatogenetico della metatarsalgia.

Tra le forme secondarie a patologia prossimale una delle evenienze più comuni è la presenza di un equinismo strutturato di tibiotarsica per brevità del tendine di Achille, ovviabile con allungamento tendineo o mioentesico, o per limitazione della dorsiflessione da contatto anteriore tibio-astragalico che viene trattato con cheilectomia.

Un’altra situazione relativamente frequente sono le metatarsalgie laterali in presenza di retropiede varo che possono essere trattate con interventi osteotomici distali di gamba o di calcagno o in caso di artropatia con interventi artrodesizzanti.

Le metatarsalgie associate a piede cavo richiedono la correzione del cavismo facendo riferimento all’apice della curva, all’eziopatogenesi, all’evolutività ed alla maggiore o minore trutturazione della deformità.

L’intervento che viene eseguito con maggiore frequenza in quanto comporta una buona efficacia correttiva associata ad uno scarso sacrificio articolare è l’intervento di Cole (resezione-artrodesi a base dorsale della scafo-cuneiforme e resezione intraossea a base dorsale del cuboide); ovviamente in caso di cavismo di maggiore entità o di situazioni secondarie a patologie neurologiche gravemente evolutive possono trovare indicazione interventi di resezione-artrodesi di maggiore estensione.

Allo stesso modo le metatarsalgie di origine distale trovano soluzione nel trattamento delle deformità digitali (dito a martello o ad artiglio) con tempi chirurgici di trasposizione tendinea o scheletrici a seconda della riducibilità o strutturazione delle deformità; in questi casi può essere presa in considerazione l’associazione di una osteotomia metatarsale in caso di importante sintomatologia metatarsalgica o di importante strutturazione.

Le osteotomie metatarsali dovrebbero trovare indicazione esclusivamente in caso di metatarsalgie distrettuali, cioè secondarie a patologia propria dei metatarsali e cioè per eccesso di lunghezza di uno o più metatarsali, per eccessiva plantarflessione di uno o più metatarsali, per rigidità prossimale alla Lisfranc o per insufficienza di uno o più metatarsali (in genere il primo).

Nelle metatarsalgie secondarie ad insufficienza del primo raggio il trattamento dovrebbe essere finalizzato alla patologia causale con interventi volti a riportare in carico il primo metatarsale e/o a restituire efficacia flessoria all’alluce. L’esempio più frequente è il trattamento di metatarsalgie centrali secondarie a valgismo dell’alluce cui si può ovviare con osteotomie di plantarflessione del primo metatarsale e ripristino della corretta posizione spaziale e della forza flessoria dell’alluce.

In caso di sovraccarico per eccesso di lunghezza o plantarflessione di uno o più metatarsali possono essere utilizzate diversi tipi di osteotomie metatarsali che agiscono accorciando o dorsalizzando il o i metatarsali interessati; la scelta tra l’uno o l’altro tipo dovrebbe essere guidata dalla anatomia patologica della lesione e pertanto andrebbero utilizzate osteotomie di accorciamento nei casi di metatarsalgie da eccesso di lunghezza e osteotomie di sollevamento nelle metatarsalgie da eccessiva plantarflessione.

Va comunque sottolineato che le osteotomie di sollevamento dorsalizzando il centro di rotazione della metatarso-falangea favoriscono l’azione dei muscoli intrinseci con un miglioramento della flessione plantare della prima falange.

Una altra scelta può essere fatta tra osteotomie distali ed osteotomie prossimali, queste ultime generalmente fatte seguire da carico precoce. Attualmente vengono raramente utilizzate le osteotomie prossimali che hanno un grande effetto correttivo ma difficilmente dosabile e fonte spesso di ipercorrezione specie se seguite da carico precoce; una indicazione a queste osteotomie è probabilmente rappresentata da metatarsalgia isolata di un raggio da eccessiva plantarflessione (ad es. in caso di frattura malconsolidata).

Relativamente alla scelta del tipo di osteotomia, premessa la preferenza per le osteotomie distali, vengono generalmente utilizzate osteotomie extraarticolati tipo Jacoby o Gauthier che hanno il vantaggio di accorciare o sollevare il metatarsale od associare entrambe le correzioni; osteotomie intraarticolari, ad es. le osteotomie tipo Weil o Jimenez, presentano a nostro avviso maggiori rischi di rigidità e minore maneggevolezza nella ricerca dell’effetto correttivo voluto.

Su quanti e quali metatarsali condurre l’osteotomia occorre farsi guidare dalla presenza di sintomatologia e di alterazioni documentabili tenendo comunque presente il rischio di comparsa di metatarsalgie di trasferimento sui metatarsali adiacenti; in effetti in caso di osteotomie con importante accorciamento e/o sollevamento può essere opportuno eseguire il medesimo gesto chirurgico sui metatarsali adiacenti per evitare metatarsalgie da traferimento.

L’entità del sollevamento e/o accorciamento da effettuare è in effetti uno degli aspetti più difficili dell’intervento in quanto non esistono regole standardizzabili in considerazione delle numerose variabili presenti (angolo di inclinazione dei metatarsali, morfotipo del piede, mobilità tarso-metatarsale, fattori muscolari, angolo del passao, fattori sovrasegmentari,…).

 

 

 

Aspetti particolari delle metatarsalgie nello sport

 

Nel soggetto praticante sport possono essere riscontrate sostanzialmente due situazioni piuttosto differenti tra loro e cioè:

- metatarsalgie che si sviluppano per alterazioni morfo-funzionali preesistenti ed indipendenti dall’attività sportiva che tuttavia può slatentizzare più facilmente, per l’eccesso di sollecitazioni, situazioni altrimenti asintomatiche; per le metatarsalgie comprese in questo gruppo vale sostanzialmente quanto esposto precedentemente relativamente a classificazione ed eziopatogenesi;

- metatarsalgie direttamente legate ad una precisa attività sportiva per effetto del gesto atletico, dell’impiego di calzature, trezzi o accessori particolari o specifiche superfici; anche in questo caso possono ovviamente entrare in gioco, anche se in misura minore, elementi correlati alla struttura del piede (morfotipo, appoggio, parametri articolari o muscolari, distribuzione dei carichi, ecc…)

Relativamente ai quadri patologici incontrati possiamo schematizzare le seguenti situazioni.

A- Patologia articolare e paraarticolare

- Alterazioni a carattere regressivo

La cartilagine, par il ripetersi di sollecitazioni microtraumatiche, risente dei subentranti momenti di interruzione circolatoria a carico dell’osso subcondrale, che nel tempo portano a fenomeni degenerativi accompagnati da neoformazione di tessuto sostitutivo fibro-osteoide. La secondaria deformità modifica la situazione biomeccanica articolare con successiva evoluzione delle lesioni nel quadro anatomo-patologico, radiologico e clinico della malattia artrosica post-traumatica.

Talora l’espressione clinica (dolore, rigidità) è tardiva rispetto alla comparsa delle menifestazioni radiologiche; comunque mai assente quando sono documentabili il restringimento della rima articolare, accompagnata dal caratteristico rimaneggiamento degenerativo dell’osso subcondrale. Particolarmente interessata è l’articolazione metatatrso-falangea I^ in particolare in presenza di alterazioni preesistenti, in particolare alluce valgo.

Quadri più rari ma anche più caratteristici sono riscontrabili in praticanti di attività sportive dove l’apparato glenosesamoideo è particolarmente sottoposto a sovraccarico funzionale sia in senso quantitativo che qualitativo (esasperate dorsiflessioni dell’alluce o bruschi cambiamenti di direzione con conseguente sovraccarico: sci di fondo, basket, tennis, calcio, salti nell’atletica). Le forze in gioco sono a vettore orizzontale con fenomeno di “taglio” e conseguente stress tangenziale tra sesamoidi e cresta plantare del metatarsale.

All’anamnesi è spesso presente un iniziale fatto traumatico acuto. Esso può comportare una conseguente lassità legamentosa con instabilità e quadri clinici analoghi a quelli meglio noti nella patologia microtraumatica cronica del ginocchio (lassità legamentosa, meniscopatie, sinoviti, condropatia,…).

Anatomopatologicamente ciò si traduce con un iniziale quadro di reazione sinoviale con formazioni paragonabili a pliche sinoviali, cui seguono quadri di sofferenza condrale sino alla formazione di veri e propri distacchi condrali.

Nei casi di sinovite o/o condropatia può essere sufficiente la terapia conservativa medica e fisica. Negli atleti, dove l’articolazione viene particolarmente sollecitata, può invece rendersi necessario l’intervento chirurgico che consiste nella asportazione della plica e/o di corpi liberi e in eventuali perforazioni o condroabrasioni.

Eventuali trattamenti associati possono essere la correzione di eventuali componenti disontomorfogenetiche o plastiche di ritensionamento nel caso di lassità capsulare.

- Alterazioni a carattere produttivo

Meno frequenti all’avampiede sono caratterizzate da ossificazioni e calcificazioni la cui entità è spesso proporzionale alla durata dell’azione microtraumatica. Ripetute sollecitazioni della funzione articolare possono essere paragonate ad un susseguirsi di successive azioni traumatiche. L’infiltrazione ematica che ne consegue può portare a difficoltà nel processo di riassorbimento e deviazione in senso produttivo; il tessuto connettivale degenera con secondari processi di metaplasia ossea.

Le manifestazioni cliniche soggettive sono caratterizzate da dolorabilità in sede di processo osteoformativo, talora con rigidità articolare.

Anche se il trattamento fisioterapico, eventualmente preceduto da immobilizzazione in rapporto all’entità delle manifestazioni cliniche, può consentire la risoluzione del quadro soggettivo, spesso è necessario ricorrere a revisione chirurgica per ovviare all’impaccio articolare ed alla flogosi cronica.

B- Patologia scheletrica

La patologia scheletrica microtraumatica è caratterizzata essenzialmente da fratture spontanee, reversibili, che avvengono in osso normale conseguenza di un traumatismo cronico, favorito eventualmente da condizioni biomeccaniche locali (fratture da durata).

Un dolore in regione metatarsale che insorge dopo particolari situazioni di sovraccarico soprattutto in ambito sportivo (corse di lunga durata, calzature inadatte, terreni non idonei, errori di allenamento, ...) deve sempre far sospettare una frattura da durata anche in presenza di una iniziale (3-4 settimane) negatività radiografica. Nel dubbio è utile ricorrere alla scintigrafia che si presenta con un quadro di ipercaptazione caratteristico; essa non è però significativa successivamente al processo di guarigione della frattura in quanto sino a due anni dalla lesione, clinicamente guarita e radiograficamente ristrutturata, possono essere documentabili segni di ipercaptazione.

Il sovraccarico funzionale con sollecitazioni inabituali e ripetitive comporta una “fragilizzazione” localizzata dell’osso (patologia da adattamento) che si manifesta con dolori inizialmente poco invalidanti, pur se progressivamente ingravescenti, con negatività radiografica. In questo “stadio prefratturativo” sono di estrema utilità diagnostica la scintigrafia e/o la RMN in quanto il trascurare la sintomatologia proseguendo nella attività sportiva porterà alla frattura da durata, vera soluzione di continuità scheletrica e stadio ultimo di questa sequenza patologica.

La patogenesi, come già accennato, è multifattoriale: oltre alle particolari situazioni tipiche della attività sportiva possono entrare in gioco variazioni strutturali o funzionali del piede (piede cavo, piede varo o valgo, brevità o ipermetria di singoli metatarsali, squilibri muscolari,…). Il piede cavo in particolare,nelle sue diverse espressioni, espone con frequenza a lesioni da durata essendo un piede funzionalmente rigido e quindi con ridotte possibilità di assorbimento dello shock all’impatto con il terreno.

Tutte le ossa metatarsali possono essere interessate anche se con più frequenza il secondo, molto spesso in associazione a brevità o insufficienza del primo; i metatarsali esterni quarto e quinto, sono sovente coinvolti per assetto strutturato in varo del retropiede.

La sede elettiva è diafisaria al III medio-III distale; per il quinto generalmente in corrispondenza della base.

Il dolore palpatorio è localizzato in sede di lesione dove è possibile, in fasi non iniziali, apprezzare una tumefazione fusata, dura; le fratture da durata dei metatarsali centrali, in particolare se multiple, intervengono di solito dopo corsa sulla punta dei piedi, in salita o su terreno rigido.

Frequenti anche le fratture da durata dei sesamoidi, talora di difficile diagnosi in particolare differenziale con in sesamoide bipartito o le sindromi infiammatorie inserzionali.

Nel meccanismo della corsa, e soprattutto nella fase di stacco, particolarmente sollecitato è il complesso metatarso-gleno-sesamoideo, specie il sesamoide mediale, più grande, distale e plantare rispetto al laterale.

Per le sue caratteristiche strutturali e di sede il sesamoide mediale viene ad essere maggiormente sollecitato in carico e questo rende conto della maggiore incidenza di sue lesioni rispetto al laterale, in particolare in presenza di anche modesti disassamenti metatarso-falangei quali l’alluce valgo.

Il dolore localizzato, spesso insorto dopo rapido aumento della percorrenza o dopo corsa su terreno rigido e che si accentua tipicamente durante l’esercizio sportivo, deve richiamare l’attenzione sulla possibilità di una frattura da durata. La diagnosi con il sesamoide bipartito, che può essere assimilata ad una patologia da trazione, è basata sulle caratteristiche radiografiche anche se spesso esistono quadri di non facile differenziazione.

In stadio prefratturativo il trattamento si basa sullo scarico della sede interessata e la progressiva ripresa funzionale è in rapporto alla scomparsa del dolore. In fase fratturativa lo scarico dalle parte interessata per 6-8 settimane rimane pur sempre il trattamento di elezione. La persistenza clinica del dolore e radiografica del tratto fratturativo indirizzeranno verso una evoluzione pseudoartrosica e potranno far porre indicazione chirurgica a perforazioni.

Alla ripresa dell’attività sarà opportuno valutare eventuali disassetti del piede che potranno essere compensati con ortesi o, in casi particolari, suscettibili di correzioni chirurgiche.

C- Patologia dei tessuti molli

Una situazione relativamente frequente è rappresentata dalle sindromi dolorose secondarie a borsiti sottometatarsali o intermetatarsali; nella patogenesi possono intervenire particolari gestualità sportive, in particolare torsioni in posizione digitigrada, eventualmente associate a situazioni strutturali predisponenti. Anche in questo caso è il piede cavo che più frequentemente rappresenta un elemento concausale; per le borsiti in corrispondenza del primo metatarsale possono entrare in gioco displasie dei sesamoidi, in particolare l’ipertrofia della porzione plantare.

Altre situazioni non inconsuete sono rappresentate dalle sindromi compressive dei nervi digitali caratterizzate da una tipica sintomatologia algoparestesica delle dita; in questo caso è generalmente un atteggiamento ad artiglio delle dita, strutturale o funzionale, che innesca la sintomatologia, eventualmente associato a problematiche tipiche di alcune discipline sportive (gesto atletico, calzature, ecc. …).

Il trattamento può prevedere, in casi non risolti con compenso ortesico o modificazione della calzatura, una neurolisi chirurgica.

 

CONCLUSIONI

 

- La metatarsalgia è un sintomo; i fattori che possono condizionarne l’insorgenza sono numerosi e spesso più cause sono associate;

 

- Il trattamento deve prevedere un accurato inquadramento diagnostico con una valutazione complessiva di tutto l’arto inferiore al fine di individuare situazioni predisponenti sovrasegmentarie e cause locali;

 

- Nello sportivo l’insorgenza della metatarsalgia è generalmente causata dall’associazione di situazioni anatomo-funzionali predisponenti con fattori direttamente correlati all’attività sportiva (gestualità, calzatura, terreno di allenamento e gara, tecniche di allenamento,…);

 

- Salvo casi specifici il trattamento è in generale inizialmente conservativo e rivolto al compenso o alla correzione di situazioni predisponenti; un eventuale trattamento chirurgico, in particolare nel soggetto sportivo, deve essere accuratamente pianificato in rapporto alla eziopatogenesi ed alla attività svolta.