CRITERI DI SCELTA NELLE ARTRODESI TARSALI
Autore: Dott. Luigi Milano
INTRODUZIONE
Escludendo gli interventi di sinoviectomia, utilizzabili solo in fase precoce, e la protesizzazione della tibiotarsica, peraltro di applicazione non sempre agevole, gli interventi di artrodesi rappresentano le uniche metodiche in grado di controllare efficacemente l'evoluzione dell'artropatia infiammatoria in corso di affezioni reumatiche e nell'artrite reumatoide (AR) in particolare.
La localizzazione reumatoide al tarso è più rara rispetto all'interessamento dell'avampiede, (1) anche se in alcune casistiche l'inabilità conseguente ad artropatia reumatoide del tarso interessa oltre il 40% dei pazienti (2), e compare in genere nelle fasi avanzate della malattia (3).
Il coinvolgimento delle singole articolazioni è stato variamente valutato dal punto di vista clinico e strumentale. Secondo Vidigal e Coll. (4) l'articolazione mediotarsica è interessata in circa i due terzi dei pazienti affetti cronicamente da AR; Seltzer e Coll. (5) con studi TC hanno evidenziato interessamento dell'articolazione astragalo-scafoidea nel 39% dei casi, della calcaneo-cuboidea nel 25% e della sottoastragalica nel 29%; relativamente alla sottoastragalica Vidigal e Coll. (4) e Michelson e Coll. (6) riportano una incidenza tra il 32 ed il 42% mentre per Vainio (7) tale percentuale risulta del 59-72%. L'interessamento dell'articolazione sottoastragalica deve essere pertanto considerato frequente, con incidenza sovrapponibile se non superiore a quello dell'articolazione astragalo-scafoidea classicamente considerata articolazione "bersaglio" dell'AR (8).
La tibiotarsica è invece coinvolta più raramente, si manifesta in genere come sinovite e difficilmente conduce ad aspetti distruttivi gravi; secondo Spiegel (3) il 63% dei pazienti affetti da AR da meno di 10 anni presenta una sinovite di tibiotarsica mentre secondo altri AA. (4) (7) alterazioni osteoarticolari si osservano nel 4-16% dei casi.
Conseguenze dell'artropatia reumatoide al tarso sono il dolore, la rigidità articolare e frequentemente la progressiva deformità in pronazione alla cui genesi concorrono la compromissione dell'apparato capsulolegamentoso, le possibili lesioni a carico del tendine del tibiale posteriore e, anche se raramente, alterazioni regressive ossee.
Le deformità in pronazione sono in genere evolutive e possono condurre a situazioni di vere e proprie sublussazioni o lussazioni articolari ( Fig. 1 ).
Nel paziente affetto da AR coesistono spesso due esigenze opposte: da un lato la necessità di conservare quanto possibile il movimento articolare complessivo in modo da non interferire pesantemente sulle prestazioni funzionali spesso già compromesse dall'interessamento poliarticolare; per contro il convolgimento di più articolazioni comporta spesso la necessità di effettuare spesso artrodesi associate.
Scopo del lavoro è di effettuare una revisione della letteratura sull'argomento e di discutere le diverse indicazioni per artrodesi isolate o di più articolazioni contemporaneamente.
Considerazioni biomeccaniche
La riduzione globale del movimento del piede è proporzionale al numero di articolazioni artrodesizzate anche se queste influiscono in maniera differente sui diversi movimenti nei tre piani dello spazio.
Studi sperimentali (9) hanno dimostrato che l'artrodesi isolata di tibiotarsica comporta una riduzione del 50.7 % della flessione dorsale complessiva del piede e del 70.3 % della flessione plantare mentre ha scarsa influenza sui movimenti di inversione ed eversione (inferiore al 10 %); l'artrodesi tibio-astragalo-calcaneale ha analoghi effetti sulla flessoestensione ma riduce di circa il 50% sia l'inversione che l'eversione. La panartrodesi del retropiede (tibiotarsica, sottoastragalice e mediotarsica) riduce dell' 82.2% la flessione plantare, del 62.8% la flessione dorsale e di circa il 70% sia l'inversione che la eversione. La triplice artrodesi (sottoastragalica e mediotarsica) riduce di circa il 50% la inversione ed eversione mentre ha scarsa influenza nel ridurre la flessoestensione (circa il 15%).
L'artrodesi isolata della astragalo-scafoidea limita in maniera importante i movimenti che avvengono a carico delle articolazioni sottoastragalica e calcaneocuboidea in quanto parte integrante dei complessi articolari astragalo-calcaneo-scafoideo e mediotarsico.
In uno studio sperimentale del 1997 Astion e Coll. (10) hanno dimostrato che l'artrodesi dell'astragalo-scafoidea riduce il movimento della sottoastragalica all' 8-9 % del movimento originario mentre in uno studio analogo Wulker e Coll. (11) hanno riscontrato valori attorno al 25%.
L'artrodesi della astragaloscafoidea riduce inoltre in maniera significativa di circa il 75% l'escursione del tendine del tibiale posteriore (10).
L'artrodesi isolata della sottoastragalica non interferisce con il movimento che avviene sull'asse trasverso della mediotarsica che pertanto mantiene gran parte della propria escursione articolare.
Gli studi di Astion e di Wulker precedentemente citati dimostrano che la astragalo-scafoidea mantiene circa il 30% dell'arco di movimento dopo artrodesi della sottoastragalica.
L'artrodesi di sottoastragalica è invece meno efficace nel controllo dell'escursione del tendine del tibiale posteriore che viene ridotta di circa il 50%.
Va inoltre ricordato che la posizione in cui viene artrodesizzata la sottoastragalica influenza il movimento residuo a carico della mediotarsica in quanto tanto maggiore è la supinazione tanto minore è l'escursione della mediotarsica in quanto l'asse di movimento tende ad essere più verticale; una artrodesi della sottoastragalica in pronazione orizzontalizza invece l'asse di mediotarsica e ne aumenta l'arco di movimento.
L'artrodesi isolata della calcaneocuboidea interferisce invece quasi nulla sui movimenti che avvengono a livello della sottoastragalica e riduce il movimento della astragalo-scafoidea di circa 1/3.
Valutazione clinica e strumentale
Il criterio prevalente è ovviamente clinico e consiste nella ricerca delle articolazioni interessate da una eventuale artropatia.
La valutazione viene effettuata localizzando la sede del dolore, diversa per le differenti articolazioni, la eventuale limitazione articolare e la presenza e la sede esatta di possibili deformità.
Per una valutazione supplementare in caso di dubbio clinico possono essere utilizzati tests di iniezione di anestetico intraarticolare per localizzare esattamente l'articolazione causa di dolore (12)(13).
Relativamente all'indagine strumentale se per la tibiotarsica sono in genere sufficienti radiografie convenzionali per una valutazione delle condizioni articolari, nella valutazione delle articolazioni astragalo-scafoidea e in particolare per la sottoastragalica, è spesso necessario ricorrere ad esame TC o RMN per evidenziare lesioni erosive poco evidenti sulle lastre convenzionali (Fig. 2).
Artrodesi isolata astragalo-scafoidea
È un intervento di semplice e rapida esecuzione che consente di ottenere una buona stabilità del tarso a prezzo di un sacrificio articolare modesto. L'effetto correttivo in caso di alterato assetto del tarso in pronazione è molto valido, superiore a quanto può essere ottenuto con una artrodesi isolata della sottoastragalica, come dimostrano studi sperimentali di O'Malley e Coll. (14), a patto che non esistano importanti strutturazioni.
La consolidazione avviene in genere entro 8-10 settimane.
Una difficoltà tecnica è rappresentata dalla difficoltà di effettuare una completa asportazione delle superfici articolari in particolare a carico del versante laterale; la resezione dei capi articolari, a causa della forma concava-convessa, comporta generalmente una rimozione troppo abbondante di tessuto osseo che rende talvolta difficoltosa la riduzione per cui è preferibile eseguire l'artrodesi per semplice asportazione della cartilagine e dell'osso subcondrale mantenendo la forma originaria dei capi articolari.
Un secondo aspetto è rappresentato dalla difficoltà ad ottenere una efficace stabilizzazione dell'artrodesi; l'uso di cambre non garantisce talvolta a sufficienza la stabilità torsionale (Fig. 3) e l'impiego di viti a compressione non è sempre agevole.
Questi motivi spiegano la relativamente alta frequenza di pseudoartrosi radiografica (7 su 19 nella serie di Ljung e Coll. ) (15), anche se non sempre accompagnata da sintomatologia correlata.
Un altro problema della metodica è rappresentato dal fatto che anche se vengono in pratica completamente eliminati i movimenti di pronosupinazione, permane un seppur minimo movimento articolare a carico della sottoastragalica fonte talvolta di dolore per sovraccarico funzionale in particolare in caso di preesistente iniziale artropatia; da questo punto di vista si è dimostrata più efficace l'associazione con contemporanea artrodesi della calcaneo-cuboidea (16).
Ovviamente la procedura deve essere preceduta da un accurato studio clinico e strumentale volto ad escludere un iniziale coinvolgimento della sottoastragalica.
Artrodesi di astragalo-scafoidea e calcaneo-cuboidea
L'evenienza di associare all'artrodesi di astragalo-scafoidea la contemporanea artrodesi di calcaneo-cuboidea è piuttosto rara come confermato dagli scarsi riscontri in Letteratura; probabilmente la prima citazione risale a DuVries e Inman (17).
Le casistiche più numerose sono quelle citate da Mann e Beamann (18), con 24 casi di cui solo 3 affetti da AR, e da Clain e Baxter (19), con 16 casi di cui 2 AR.
Dal punto di vista del movimento articolare residuo la situazione è pressochè identica all'artrodesi isolata della astragalo-scafoidea.
Dal punto di vista tecnico l'accesso articolare viene effettuato con due distinte incisioni, si procede ad asportazione delle superfici articolari e dell'osso necessario alla correzione e la sintesi può essere effettuata con viti o cambre.
Le indicazioni sono rappresentate da artropatia della astragalo-scafoidea ed eventualmente della calcaneo-cuboidea con integrità della sottoastragalica.
La metodica permette di correggere agevolmente un avampiede varo e abdotto superiore a 10-15° a patto che la sottoastragalica sia mobile e la correggibilità passiva possibile.
I vantaggi di artrodesizzare anche la calcaneo-cuboidea sono:
L'artrodesi della calcaneo-cuboidea elimina ovviamente la possibile sintomatologia dolorosa post-operatoria dovuta ad un eccesso di sollecitazioni laterali presente talvolta dopo artrodesi isolata della astragalo-scafoidea.
Relativamente ai risultati va sottolineato come nella serie di Clain e Baxter i due pazienti affetti da AR abbiano ottenuto risultati non soddisfacenti.
Artrodesi isolata sottoastragalica
Rispetto alla artrodesi isolata della astragalo-scafoidea consente un risparmio articolare maggiore in quanto mantiene il movimento articolare dell'asse traverso della mediotarsica.
Ha tuttavia un effetto correttivo minore rispetto alla artrodesi astragaloscafoidea (14), in particolare nelle situazioni di importante pronazione.
In questi casi è generalmente opportuno utilizzare innesti ossei che vengono posizionati nel seno del tarso, operazione che allunga i tempi dell'intervento.
Per contro è una artrodesi facilmente stabilizzabile con viti o cambre (Fig. 4) e con tempi di consolidazione piuttosto brevi, in genere intorno alle 6-8 settimane. La pseudoartrosi è una evenienza piuttosto rara anche se un recente lavoro di Easley e Coll. (20) riporta una frequenza del 15% su una serie di 184 casi.
Dal punto di vista tecnico preferiamo un accesso laterale senotarsico attraverso il quale è possibile accedere alle superfici articolari della sottoastragalica anteriore e posteriore; è sempre preferibile, tranne i rari casi di retropiede varo in cui l'artrodesi viene effettuata in sottrazione, utilizzare innesti autoplastici iliaci posizionati tra le superfici articolari cruentate e nel seno del tarso; questo sia a fini meccanici per correggere la pronazione se necessario, sia per accelerare i processi di consolidazione.
La sintesi viene di preferenza effettuata con vite artragalo-calcaneale.
Nella pianificazione dell'intervento occorre ovviamante escludere, come in tutti i casi di artrodesi isolata, il coinvolgimento delle articolazioni adiacenti, in particolare della tibiotarsica e della astragalo-scafoidea.
Artrodesi di astragalo-scafoidea e sottoastragalica
L'indicazione elettiva è rappresentata dalle artropatie associate di astragalo-scafoidea e sottoastragalica in particolare in presenza di eversione del complesso calcaneo-pedidio al di sotto dell'astragalo, e pertanto con avampiede valgo. In quasti casi è possibile correggere contemporaneamente, con un movimento che avviene intorno all'asse dell'articolazione astragalo- calcaneoscafoidea, in contemporaneo valgismo di retro ed avampiede (Fig. 5).
L'articolazione calcaneocuboidea, compresa nel blocco calcaneo-pedidio, non interferisce con la correzione e mantiene invariati i propri rapporti articolari.
L'artrodesi di astragalo-scafoidea e sottoastragalica presenta a nostro avviso tutti i vantaggi dell'artrodesi isolata della astragalo-scafoidea cui si aggiungono ulteriori aspetti positivi che possono essere riassunti come segue:
A fronte di questi vantaggi i tempi operatori sono solo modicamente aumentati.
Dal punto di vista tecnico è consigliabile un doppio accesso, mediale per l'astragalo-scafoidea e la sottoastragalica anteriore e laterale senotarsico per la sottoastragalica posteriore; in particolare nei casi di pronazione importante è consigliabile l'impiego di innesto autoplastico posizionato nel seno del tarso. La sintesi viene di solito effettuata con vite astragalo-calcaneale e cambre o viti per la astragalo-scafoidea (Fig. 6).
Artrodesi di mediotarsica e sottoastragalica
La classica duplice artrodesi (triplice nella letteratura anglosassone) trova ampie applicazioni nella chirurgia del tarso reumatoide.
Si tratta di intervento ben collaudato con risultati sicuramente positivi anche a medio-lungo termine.
Vahvanen (21) in una serie di oltre 290 interventi in soggetti reumatoidi riporta risultati soddisfacenti nell'85% dei casi mentre in una analoga serie citata da Adam e Ranawat (22) la percentuale di risultati positivi raggiunge l'88%.
Figgie e Coll. (23) in una revisione del 1993 relativa a 65 interventi hanno riscontrato una significativa riduzione dei sintomi dolorosi nel 94% dei casi ed una completa scomparsa nell'83%; la capacità deambulatoria è migliorata nell'80% dei pazienti.
I problemi maggiori sono legati ad un cattivo posizionamento dell'artrodesi, con possibile assetto in varo o valgo, e alla eventuale comparsa di alterazioni secondarie alla tibiotarsica.
Relativamente al primo punto si tratta nella maggior parte dei casi di un errore tecnico di posizionamento dell'artrodesi, che può essere minimizzato con l'accuratezza tecnica ed il controllo radiografico intraoperatorio.
Relativamente al secondo punto molti AA. hanno sottolineato la comparsa progressiva di alterazioni degenerative alla tibiotarsica.
Wetmore e Drennan (24) ritengono questa evenienza inevitabile a seguito della perdita delle capacità di shock-adsorber del retropiede dopo la duplice artrodesi; essi riportano alterazioni degenerative radiografiche nel 77% (23 su 30) e evidenti all'esame clinico nel 63% dei casi (19 su 30).
Angus e Cowell (25) riportano una percentuale del 39% (31 su 80) mentre Southwell e Sherman (26) citano una incidenza di alterazioni radiografiche nel 58% anche se sottolineano come i sintomi clinici correlati siano in realtà piuttosto rari.
Anche un recente studio di Pell e Coll. (27) riporta una alta incidenza di alterazioni degenerative radiografiche alla tibiotarsica al follow-up medio di 5,7 anni ma senza una correlazione statistica con la soddisfazione del paziente che sembra invece maggiormente correlata al corretto posizionamento dell'artrodesi.
Altri AA. (28) ritengono invece che l'incidenza di artrosi secondaria alla tibiotarsica sia comunque bassa e non in grado di interferire con il risultato finale anche a lungo termine.
Relativamente alle indicazioni riteniamo che l'artrodesi associata di sottoastragalica e mediotarsica sia indicata, oltre ai casi comunque piuttosto rari di coinvolgimento dell'articolazione calcaneo-cuboidea, in due situazioni:
Artrodesi isolata di tibio-tarsica
L'importanza funzionale della tibiotarsica in particolare nei soggetti reumatoidi che presentano spesso compromissione articolare a più livelli, deve far porre in discussione l'artrodesi con l'artroprotesi, alla luce dei risultati soddisfacenti ottenuti con i modelli di più recente concezione.
La scadente qualità ossea, le possibili perdite di sostanza osteoarticolare e le frequenti compromissioni della stabilità legamentosa rendono tuttavia l'intervento protesico spesso problematico o francamente controindicato; l'artrodesi conserva pertanto un notevole interesse nel paziente affetto da AR ed in molti casi l'unica soluzione applicabile.
Dal punto di vista biomeccanico l'artrodesi isolata della tibiotarsica comporta una perdita di circa il 50% della flessoestensione complessiva del piede.
È stato dimostrato che la posizione migliore dell'artrodesi al fine di rendere più armonica la marcia e permettere un risparmio articolare sulle strutture adiacenti è quella in posizione neutra su tutti i piani; questa situazione in particolare limita la progressione dell'artrosi a livello della sottoastragalica e della astragaloscafoidea che peraltro, almeno dal punto di vista radiografico, sono evenienze pressoché inevitabili a medio-lungo termine (29).
Nel paziente reumatoide l'artrodesi di tibiotarsica è gravata da un tasso piuttosto alto di complicanze; tra queste la più frequente è la non consolidazione la cui frequenza raggiunge in alcune casistiche il 20% (30), (31), (32).
Relativamente alla tecnica non sembrano esservi grosse differenze nei risultati relativamente al tipo di sintesi, interna o con fissazione esterna (31).
Sembrerebbe invece che l'impiego del perone utilizzato come innesto riduca notevolmente i problemi di consolidazione (33), (34).
Recenti lavori sottolineano inoltre i vantaggi dell'artrodesi per via artroscopica che consentirebbe un tasso di consolidazione prossimo al 100% (35), (36).
Artrodesi associata di tibiotarsica e sottoastragalica
Si tratta di una tecnica che trova indicazioni nelle gravi alterazioni strutturali di tibiotarsica e sottoastragalica in particolare se accompagnate da alterazioni trofiche dell'astragalo o da importanti deviazioni assiali. Sono interventi gravati da una percentuale piuttostro alta di complicanze locali, in particolare pseudoartrosi e ritardi di cicatrizzazione (37), (38), (39), (40); inoltre comportano inevitabilmente un aumento di sollecitazioni a livello del ginocchio e alterano in maniera significativa la marcia.
La conservazione dell'articolazione mediotarsica comporta il mantenimento di circa 1/3 del movimento globale di flessoestensione del piede; in molti casi tuttavia l'artrodesi deve essere estesa anche a questa articolazione sia per presenza di artropatia reumatoide che per la necessità di adattare l'appoggio dell'avampiede al nuovo assetto del retropiede.
Dal punto di vista tecnico l'accesso è generalmente anterolaterale.
Per la sintesi si possono utilizzare mezzi di sintesi interni come viti tibio-astragalo-calcaneali o placche condiliche con l'eventuale impiego del perone come innesto; recentemente l'introduzione di chiodi endomidollari bloccati retrogradi specifici per questo tipo di artrodesi ha permesso di ottenere una sintesi estremamente solida con minimi tempi di immobilizzazione post-operatoria.
Il tasso di pseudoartrosi radiografica è di circa il 20%.
Conclusioni
La scelta del tipo di artrodesi da utilizzare nel tarso reumatoide è condizionata in primo luogo dall'estensione del processo infiammatorio e dalle articolazioni coinvolte.
La sottoastragalica e la astragalo-scafoidea sono le articolazioni più frequentemente interessate; l'artrodesi isolata della sottoastragalica ha il vantaggio di conservare l'asse trasverso della mediotarsica ma permette un controllo solo parziale della deformità in caso di pronazione importante.
Per contro l'artrodesi isolata della astragalo-scafoidea ha un ottimo effetto correttivo sulla pronazione ma presenta maggiori difficoltà di stabilizzazione e di consolidazione; consigliamo pertanto di associare l'artrodesi della sottoastragalica posteriore che aumenta la stabilità del montaggio ed elimina possibili disturbi da sovraccarico senza modificare sostanzialmente il movimento articolare residuo.
L'artrodesi di tibiotarsica, per la importante limitazione funzionale che comporta, deve essere accuratamente valutata nel paziente reumatoide e messa in discussione, quando possibile, con l'artroprotesi.
Artrodesi più estese, come la tibio-astragalo-calcaneale o la panartrodesi, dovrebbero essere utilizzate come trattamenti di salvataggio o in casi particolari di perdita di sostanza ossea, di grave distruzione dell'apparato capsulolegamentoso o di importanti deviazioni assiali.
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